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L'eterna solitudine dei magistrati

di Marco Bellinazzo

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25 agosto 2009

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Un'Italia che non cambia mai, un'Italia della provincia più profonda, d'altri tempi, quella nella quale Cerqua si trovò a indagare poco dopo il suo arrivo in Alto Adige, all'inizio degli anni 70. «L'assassinio di una perpetua in una sperduta canonica di montagna, a Santa Gertrude, estremo avamposto della Val d'Ultimo. Mi ero convinto, per le prove raccolte, che ad ammazzarla fosse stato il parroco. La vicenda giudiziaria durò diversi anni tra sentenze di condanne e revisioni in Cassazione. Alla fine, il processo arrivò a Brescia e il parroco fu assolto per insufficienza di prove».
Nell'87, alla vigilia della riforma del processo penale con la conversione del rito inquisitorio in accusatorio, Cerqua si è trasferito a Milano, abbandonando il ruolo di pm per diventare il giudice. Un passaggio "conforme" alle nuove regole dell'ordinamento giudiziario, che oggi per il passaggio da una funzione all'altra impongono al magistrato di cambiare ufficio e regione.
«È una questione di opportunità. Ma ci sono alcuni aspetti che andrebbero sempre tenuti presenti», dice Cerqua. «Da una parte è indispensabile che il giudice sia e appaia terzo e che non subisca sudditanze». I penalisti però sostengono che questa terzietà non sarebbe garantita dalla "convivenza" di giudici e pm all'interno degli stessi edifici. «Io ho amici tra i pubblici ministeri, ma anche tra gli avvocati. Con molti ci diamo del tu e fuori dall'aula abbiamo rapporti assolutamente cordiali. Mi si deve piuttosto dimostrare che in qualche mia decisione ho compiaciuto gli uni o gli altri. La verità è che tutto dipende dall'etica personale». Dall'onestà intellettuale dei singoli, più che dalle prescrizioni deontologiche. «D'altra parte – continua Cerqua – per quella che è stata la mia esperienza, ritengo che la facoltà di passare da una funzione all'altra rappresenti un'occasione di crescita. Per un giudice, sapere cosa vuole e come pensa un pm può rivelarsi un metro di valutazione tutt'altro che secondario. Quindi vanno bene le incompatibilità, ma le barriere o l'imposizione di scelte premature alla lunga potrebbe rivelarsi controproducente».

Terzietà e indipendenza, prima di tutto. Vale, o dovrebbe valere anche per quei giudici che si candidano e che poi fallito il bersaglio, tornano nei ranghi? «Non voglio esprimere giudizi su colleghi che hanno compiuto queste scelte. Io non ho mai avuto la tentazione. Nessuno in 22 anni ha potuto inserirmi in una casella o nell'altra di una corrente», risponde Cerqua.
«Non credo potrei candidarmi – concorda Biondolillo – ma se un giorno dovessi decidere di farlo, certamente per prima cosa mi dimetterei. Anche per non pregiudicare la credibilità di tutto il lavoro svolto in precedenza. La demarcazione tra la sfera professionale e quella personale del magistrato è fatalmente meno netta che per altre professioni: questo non vuol dire restare fuori dalla vita pubblica del Paese, ma contribuire all'interesse comune attraverso un esercizio coscienzioso della propria funzione. Infatti, sono convinta che il magistrato lo si faccia in silenzio, dietro le quinte, con passione e dedizione».
Nessuno intende ritirarsi in una torre d'avorio. «In tutti questi anni – chiarisce Cerqua – ho sempre cercato di dare il mio contributo. Scrivendo, oppure nell'ambito dei convegni, non ho mai perso l'occasione per dire la mia. Fossero norme da criticare come quelle sui reati societari e il falso in bilancio, norme da salutare positivamente, come quelle sullo stalking che hanno colmato un vuoto legislativo, o ancora norme al centro del ciclone come quelle sulle intercettazioni».

Ecco, appunto, che cosa pensa delle intercettazioni? «Penso che le intercettazioni siano uno strumento pericoloso per la privacy dei cittadini. Ma che sono addirittura indispensabili per punire gli autori dei delitti più gravi. Detto questo, sta a un legislatore saggio contemperare le due opposte esigenze».
Cortocircuito politica-magistratura. È questo il filo rosso che lega il burrascoso tramonto della Prima Repubblica con il quindicennio che ne è seguito. In che maniera potrà essere risolto, se mai lo potrà essere?
Cerqua – che a metà degli anni 90, consigliere in corte d'appello - ha scritto la sentenza (poi confermata in Cassazione) che ha messo la parola fine alla vicenda del crack del Banco Ambrosiano, non ha dubbi: «Ognuno deve tornare a fare il proprio lavoro. Lavorando di più e meglio. Il Parlamento deve fare le leggi e i giudici devono applicarle. Possono criticarle, come detto. Ma altro è l'interpretazione politica delle norme».
A metà degli anni 90 le vicende di Mani pulite e l'indignazione suscitata dagli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno spinto migliaia di giovani a tentare la strada per la magistratura. C'è stato un ricambio generazionale. Ma com'è cambiata la professione? Intanto, si è assistito in questi anni a un mutamento "morfologico": la figura dell'austero giudice che si staglia dal suo scranno per sentenziare dell'innocenza o della colpevolezza è sempre più arcaica, come le parrucche nelle corti del Regno Unito. Sempre più frequentemente alla ribalta della cronaca balzano oggi pm e giudici donna: non a caso tra gli ultimi 13 uditori che attendono di prendere servizio c'è solo un uomo. «È vero, anche se i ruoli di vertice restano maschili», puntualizza Biondolillo.

  CONTINUA ...»

25 agosto 2009
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