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Generazione manager tutta la vita in due minuti

di Cristina Casadei

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18 agosto 2009

«In realtà la sostanza del management non è cambiata: è l'arte di soddisfare bisogni potenziali illimitati con risorse limitate. Il compito del manager è sempre lo stesso, la rincorsa del progresso e lo sviluppo». Nella stanza di Franco Tatò, amministratore delegato della Treccani, il contrasto tra antico e moderno è evidente. Di fronte alla scrivania i pesanti volumi che racchiudono lo scibile umano, sopra tre agili computer dalle dimensioni minime: hanno la stessa funzione, due pc fissi con gli schermi piatti e un piccolo laptop con la chiavetta Usb inserita di lato.

A Roma, nello storico palazzo dell'Enciclopedia italiana che si affaccia sull'omonima piazza a un passo da Largo Argentina, il racconto non poteva iniziare che da una definizione. A formularla è Tatò, che sta gestendo la trasformazione multimediale della Treccani: il manager, anche a metà agosto, quando nella capitale il caldo appesantisce movimenti e pensieri, non si ferma. Lui rincorre il progresso da oltre quarant'anni. «All'Olivetti...»: trapela la nostalgia di una scuola aziendale di quelle che in Italia non esistono più.

Federico Capeci ha 36 anni compiuti da pochi giorni, è appena partito dal via. Lo scorso anno, in settembre, è diventato amministratore delegato di una società che fa ricerche di mercato sui nuovi media, Duepuntozero Research. «Ho una sola speranza: che il mondo stia cambiando in una direzione che nessuno è in grado di prevedere e che solo una mente scevra da qualsiasi successo del passato può risolvere – racconta –. Siamo una società gerontocratica dove i posti di potere sono già tutti belli e occupati. Siccome questo è accaduto in epoche d'oro, chi è salito a bordo allora c'è ancora perché il turn over non c'è e imprese non ne nascono tutti giorni».

Ma ridiamo la parola a Tatò. Per il quale il problema è che «le aziende anziché moltiplicarsi si sono ridotte: anche guardando alla Borsa abbiamo un parco di quotate che fa sorridere».

«Il risultato di questa situazione - continua Tatò - sono i numerosi giovani manager all'estero. Londra, per esempio, è piena di banchieri italiani, bravissimi».

Incoraggiato dalla sua agilità tecnologica, Capeci scalpita e fa scelte audaci, mentre Tatò completa la più difficile transizione della Treccani, quella verso la multimedialità che ha una componente umana di cui parla con un misto di ammirazione e consapevolezza di superamento. «Stiamo cambiando i collaboratori che scrivono le voci. L'enciclopedia ha avuto menti straordinarie, persone capaci di scrivere voci che sono state capitoli di alta scrittura. Ma questo lavoro oggi si può fare da casa, con un computer e internet. Molti dei nostri collaboratori non sono più contemporanei», spiega Tatò che, a 77 anni, si sposta da un computer all'altro con un mezzo giro di poltrona e i giornali se li legge sul video. «Una volta la rassegna stampa era un malloppo di carta pesante, adesso è un elenco sul computer dove si legge il titolo e, se suscita curiosità, si apre l'articolo. Online si trovano tutti i grandi giornali internazionali e siti specializzati su cui navigo costantemente per informarmi e aggiornarmi».

Alza gli occhi verso l'alto quando dice: «Invidio molto chi ha vent'anni adesso. Se li avessi io, avrei avuto la possibilità di una carriera molto più ricca. Ho sempre nutrito una passione forte per il Giappone e mi dispiace non aver potuto imparare la lingua di questo paese. Oggi vedo mia figlia che accende il computer e impara l'inglese con un corso online. Se avessi avuto io uno strumento così, magari avrei imparato anche il giapponese».

La vera differenza consentita dal progresso tecnologico, come ci spiega, sarebbe stata nella gavetta. Tatò è entrato alla Olivetti a metà anni 50: «Operaio alla catena di montaggio», precisa. Poi ha scalato tutta la gerarchia, è volato negli Stati Uniti dove è arrivato che era già un manager, ha lavorato alla General Electric in aree diverse, dal marketing alle risorse umane. Manager è diventato «tardi, a 36 anni – dice –. Quando ho iniziato, la disponibilità delle informazioni era scarsa. Nelle aziende c'era una struttura gerarchica piramidale che bisognava percorrere livello dopo livello». Un percorso necessario perché «una delle funzioni principali del manager è l'integrazione delle informazioni, e la gavetta consisteva nel percorrere i diversi livelli. Oggi le strutture sono diventate piatte e per un amministratore delegato avere venti riporti è usuale: ognuno di questi è indipendente e il controllo che si può avere è facile. Una volta invece la regola era non più di sei riporti». La diminuzione dei livelli gerarchici ha comportato «una minor difficoltà a scalare la piramide e, in fondo, oggi la gavetta di una volta non ha più senso. La società dell'informazione investe i giovani e il processo d'integrazione nell'organizzazione è più rapido e ricco».

Capeci, uno dei 125.500 manager italiani (fonte Manageritalia), conosce la velocità che la gavetta può avere per chi ha trent'anni ora. È stato nominato dirigente a 31 anni, in un gruppo quotato in borsa (Fullsix) che gli ha affidato il riposizionamento e l'internazionalizzazione di un'azienda. Conosce bene anche i rischi. «In una situazione dove si bruciano le tappe s'incontrano più difficoltà. I tempi lunghi di una volta davano modo di scomporre la carriera in tanti piccoli passi – interpreta –. Oggi questo non è possibile, io ho fatto passaggi verticali, poi ho trovato un ostacolo e allora ho fatto passaggi laterali. Sono finiti i tempi dei passettini: questa è l'epoca dei balzi». Fino a quando non s'incontra il tappo perché il ricambio al vertice non è detto che significhi far salire un giovane. «Il mio percorso è stato caratterizzato da fasi brevi, con un'alternanza di passi verticali e orizzontali».

  CONTINUA ...»

18 agosto 2009
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