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Prima di arrivare come amministratore delegato in Duepuntozero Research, Capeci ha raggiunto il ruolo di direttore ricerche di una società multinazionale americana di grandi dimensioni. Una posizione a cui è arrivato con la voglia e l'intenzione di crescere. «Sopra di me c'era un manager che stava facendo il lavoro a cui ambivo, e dunque non avevo possibilità di crescita ulteriore - ricorda -. Anzi c'era un blocco. Ho discusso con l'azienda il mio percorso di carriera e si sono aperte due porte: la prima mi avrebbe portato verso un'esperienza negli Stati Uniti, la seconda verso un'altra azienda da riposizionare da zero ed esportare in altri paesi europei. Ho scelto la seconda e quindi il rischio. Un'iniziativa che poteva davvero rappresentare la discontinuità nelle mia esperienza professionale e un vero momento di crescita individuale».
Capeci appartiene alla generazione di chi è always on ed è più abituato a fare balzi che non passi. Di chi non ama i tempi lunghi e li brucia con la tecnologia. «Ho molti amici che hanno 25 o 30 anni più di me: spesso mi guardano con uno strano sorriso per la quantità di cose su cui riesco a lavorare quotidianamente. Molte volte più di quelle che loro riuscivano a fare quando avevano la mia età».
Per Franco Tatò «ci sono società contemporanee dove ai giovani sono affidate molte responsabilità, il presidente degli Stati Uniti ha 48 anni. La presenza dei giovani in posizioni di responsabilità dà la misura della freschezza di una società». Vent'anni per il management sono sinonimo di un'era ma anche di una definizione diversa. Capeci ne parla come del «lavoro di un gruppo di persone che deve creare valore nella gestione della complessità odierna e deve saper identificare nuove soluzioni e opportunità che nessuno aveva mai visto. Non è solo gestione, ma occhioe sensibilità in ciò che può creare valore in modo non convenzionale ». E così la tecnologiaè anche – e sottolinea l'anche – un modo per semplificare, accorciare i tempi e le distanze. Ma non è solo questo. «Per me rappresenta soprattutto un territorio dove trovare nuove aree di business –precisa il giovane manager –. La mia società fa ricerche di mercato. Blog e social network per noi sono un mezzo che serve non tanto per avere i risultati prima, ma un ambito su cui fare le nostre ricerche. Una volta, per esempio, le indagini di mercato si facevano attraverso i questionari domandae risposta, adesso invece non facciamo più domande perché sui social network e sui blog abbiamo già le risposte».
Il management presuppone un talento e una predisposizione. «Max Weber diceva una vocazione.Io l'ho scoperta tardi,sono diventato manager a 36 anni – racconta Tatò –. Non a tutti piace. Dopo un certo percorso, in azienda molti si orientano verso attività professionali diverse o nell'impresa stessa o fuori: questi ultimi sono quelli che i miei maestri chiamavano individual contributor. Altri scelgono un lavoro di squadra. Il management presuppone la mobilitazione delle risorse umane per raggiungere gli obiettivi. Le qualità principali di un manager sono il carat-tere, le doti di rigore e concretezza, la capacità di comunicare gli obiettivi, la disciplina, la lealtà.In un manager si trova il senso della responsabilità sociale che ha la gestione dell'impresa e la capacità di mettere prima della vita privata l'azienda. Ma non tutti sono pronti a prendere la responsabilità del lavoro degli al-tri, a giudicarli, a criticarli, a farli crescere e portarli al successo».
Il concetto di corporazione e di albo sfugge alle caratteristiche di questa categoria che se in azienda utilizza il metodo di squadra, fuori agisce in modo molto individuale. La lontananza tra le due generazioni si riduce quando si parla della strada per diventare manager. In questa professione è raro che mestiere e poltrona si tramandino di generazione in generazione, come accade spesso per medici, notai, avvocati, commercialisti. «Un immeritato privilegio», lo definisce Tatò. L'arte del management non è mai ereditaria: «Mio figlio fa il medico», dice. Capeci viene da una famiglia dove non ci sono stati manager prima di lui. «Da mio padre che lavorava nell'area amministrativa di una scuola e oggi è in pensione ho ricevuto quelle doti di attenzione ai conti, rigore, integrità morale che sono una parte fondamentale del mio mestiere.
Che non cisia ereditarietà è un bene –sostiene Capeci – perché, con la velocità con cui cambiano le organizzazioni, un modello e un aiuto offerti su parametri obsoleti rischiano di diventare una cella che limita e ostacola più che un'opportunità».
Capeci ha in tasca una laurea in economia dell'università di Bologna e diversi master di cui uno alla Sda Bocconi. Tatò una laurea in filosofia a Pavia e una formazione che è avvenuta in quelle che sono state riconosciute come due storiche scuole azienda: l'Olivetti e la General Electric. Il primo pensa che «le basi siano state uno strumento importante: per mandare avanti un'azienda bisogna gestire risorse e mutamenti del mercato che richiedono competenze specifiche, al netto delle quali un brillante laureato in filosofia, letteratura o economia hanno le stesse opportunità ». Il secondo spiega che «lo studio non è evitabile perché bisogna contare su basi solide. Alla General Electric ho frequentato molti corsi a cui si accedeva attraverso selezioni durissime. Erano brevi, la durata andava dalledue alle sei settimane perché erano formazione, non studio. Quando si arriva in azienda lo studio deve essere già stato fatto.Prendiamo l'inglese, per esempio. È ovvio che deve essere al livello di un madrelingua: bisogna saper leggere i giornali, ma anche conoscere la letteratura e parlare in maniera fluente. Poi si potrà perfezionare il linguaggio tecnico». Tatò, che viene dal collegio Ghislieri di Pavia, la fatica di costruirsi solide basi sa bene cos'è. L'esperienza ha fatto il resto per raggiungere quell'abilità che gli ha consentito di gestire aziende molto complesse, in Germania dove ha guidato prima la Kienz-le, società elettronica della Mannesmann, e poi la Triumph Adler e in Italia dove ha guidato Rizzoli, Mondadori ed Enel.
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