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La doppia sfida del medico manager

di Paolo Del Bufalo e Roberto Turno

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28 agosto 2009

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Intanto la politica promuove e boccia, promette carriere facili e brillanti. Altro che separazione tra linee politiche e di amministrazione nella cosa pubblica. E la meritocrazia? E la certezza-diritto per il malato di avere per sé, sempre, un medico capace? Merce non troppo comune. «Troppa politica e partitocrazia fanno ammalare la medicina - incalza Panti -. Troppi medici sono convinti che siano quelle le porte da aprire per fare carriera, rovinando l'immagine di una professione che è tutt'altro e intralciando la strada anche a chi merita».

Politica e partiti. E che dire allora del nepotismo e delle baronìe in camice bianco? Anche in questo caso italiche virtù che hanno avuto storica e solidissima applicazione nel campo della medicina. Ancora Panti, che deve averne viste tante, non si tira indietro: «Il nepotismo c'è, come in tutti gli altri settori - ammette -. Semmai a dover essere combattute sono proprio le baronìe che ancora aleggiano nelle università: se la facoltà di medicina diventasse dell'Ssn e qui si formassero i medici, non solo negli atenei, le cose cambierebbero. Siamo l'unico paese al mondo in cui le specializzazioni le danno le università».
Sarà che in pronto soccorso non c'è tanto tempo per fare dietrologie, Marilena Celano preferisce tenere basso il volume. «I medici sono medici e basta - afferma serafica - e se una persona vale viene fuori anche senza l'appoggio di "papà". Un tempo forse la professione di medico era riservata a una casta privilegiata, ma oggi è diverso e servono solo tanti sacrifici. Io, ad esempio, non sono figlia o parente di medici».

Ma al medico oggi non basta più saper curare: deve anche essere manager e occuparsi di spesa. Di conti da far tornare, e che in verità raramente tornano. Ancora Celano: «È un problema di razionalizzazione e d'orientamento delle risorse sugli aspetti più produttivi. I fondi non bastano mai, è vero, ma non sono stabiliti da noi che invece dobbiamo cercare d'eliminare il più possibile gli sprechi per orientare verso strade e progetti più utili le cure. La cosa importante è riuscire a gestire bene le risorse. Medici ben preparati e consapevoli della propria professione e cultura sanno quali esami chiedere e quali sono inutili. Un medico che fa medicina difensiva, invece, chiede analisi per tutto: questo porta agli sprechi. È fondamentale anche per questo lavorare sulla formazione, deve entrare nella logica di tutte le aziende».

Belle parole. Peccato che, nei fatti, la distinzione tra spreco e cura necessaria ma che non si può "passare gratis", non sia poca cosa. «A un certo punto tutti i medici sono potenzialmente spendaccioni», ironizza Panti rispondendo all'accusa che spesso si fa al medico di non badare a spese nella sua attività clinica e di generare anche, ad esempio con le sue prescrizioni, eccessi in altri settori. «È difficile – aggiunge – in questo momento azzeccare il concetto di appropriatezza: da un lato c'è la malpractice, dall'altro il cittadino che va su internet e trova tutte le notizie. E poi gli avvocati e la continua richiesta di risarcimenti che costringono a una medicina difensiva, la stampa che incalza con la malasanità e così via. Il conflitto d'interesse esiste nella medicina, ma in realtà ricordiamo che i suoi progressi scientifici in questo momento sono talmente sotto gli occhi di tutti che la cura gode di un prestigio straordinario: sono i medici che ne hanno sempre meno».

Calerà (ma di quanto?) il prestigio della categoria, ma l'ambizione di diventare «dottore» resta grande tra i giovani. Negli ultimi otto anni le domande per l'iscrizione alla facoltà di medicina e chirurgia sono cresciute del 97%, anche se il numero chiuso (non si va oltre gli 8mila iscritti circa ogni anno) taglia le gambe a molti e rischia nel giro di quindici anni di trasformare la vecchia "pletora" degli anni 80 che l'ha determinato, in un vero e proprio "allarme carenza".

Le stime degli esperti, infatti, indicano che nel 2025, con i meccanismi attuali di formazione, il numero di medici crollerebbe di oltre 85mila unità. Troppe se si pensa che già oggi negli ospedali si è costretti spesso a turni massacranti per garantire l'assistenza e molte aziende utilizzano per la copertura degli organici carenti anche le prestazioni in libera professione dei medici. In cui molti vedono un guadagno maggiore per i professionisti. Possibile in alcuni casi, ma non in tutti. Marilena Celano, ad esempio, nel suo pronto soccorso non può davvero fare - «e così tutti i medici che lavorano con me», sottolinea - libera professione. Mentre i medici di famiglia hanno un numero massimo di assistiti che ne determina la busta paga. Con stipendi sicuramente buoni e possibilità di guadagni extra, è vero, ma in linea con quelli di tanti altri professionisti e della maggior parte dei colleghi dei paesi più avanzati.

Tra Panti e Celano c'è del resto una barriera invisibile ai tanti che non hanno a che fare con la medicina. È la storia antica del rapporto tra l'ospedale, terra di specialisti, e il territorio, presidiato dai medici di medicina generale. Due mondi a parte. Che si tenta disperatamente di far convergere. Sul paziente, è l'ambizione. Sono "guerre di posizione", non dichiarate, o non sempre, ma che fanno la differenza nella buona organizzazione del sistema. Del resto (a parole) Celano e Panti si scambiano lodi e carezze.
  CONTINUA ...»

28 agosto 2009
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