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Notai, tutta la vita sotto il segno del sigillo

di Angela Manganaro

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6 agosto 2009

Lodovico Barassi, giacca verde chiaro, camicia azzurra a righe, niente cravatta, appone il sigillo del notaio sul block notes. «È un timbro, vede? Niente di più perché noi forniamo un servizio. Il mio è un po' usato, lo restituisco fra tre anni, quando vado in pensione». Barassi ha 72 anni e 44 di carriera alle spalle. Il suo studio è uno dei più conosciuti a Milano, la porta d'ingresso è di legno a vetri, quando si chiude suona un campanello. «Il sigillo è un impegno per la vita - dice rimettendolo a posto - siamo una pedina importante della struttura, ma non così importanti come alcuni di noi credono di essere».

Barassi ha l'altezza di un giocatore di basket e la passione per il calcio, è interista e notaio dell'Inter. È figlio del notaio Giancarlo e papà del notaio Luca con cui oggi divide lo studio vicino a Porta Venezia. «Ma io mi chiamo come il nonno, il più famoso». Il Lodovico Barassi che c'è su Wikipedia. «Esatto. Il professore che ha portato il diritto del lavoro in Italia».
Un'accusa che da sempre si fa alla professione è che «i notai sono figli di notai». L'Ordine ribatte: non è vero, i "figli di" sono solo il 17,5%. «Sono comunque molti e bisogna chiedersi perché - risponde Barassi -. In passato, tramandare la professione di padre in figlio era l'unico modo per non far estinguere lo studio. Adesso il problema si sente meno perché è permessa l'associazione tra notai: basta trovare un giovane e lo studio continua a esistere. Anche se alcuni tengono al nome, io ad esempio ci tengo. Il motivo di questa tendenza alla discendenza è che in casa si respira l'aria del notaio. È una cosa un po' strana ma è così. Io amavo la matematica, sarei dovuto diventare ingegnere ma da piccolo mi davano lo zucchero notarile. Resta il fatto che il nostro concorso è serissimo. Un giornalista, ad esempio, può chiedere a un collega il favore di far lavorare il figlio nel suo giornale. Noi non possiamo chiedere, decide lo stato».

Cambiando età e città, la risposta non cambia. «Il sistema concorsuale è selettivo ma equo» dice Diomede Falconio, detto Dino, 37 anni, dalla sua casa di Napoli. «Come in tutte le situazioni possono esserci le macchie. Ricorda quelle delle schedina? Una tipica macchia era MilanAscoli 2. Un risultato improbabile, contro il pronostico. Le macchie, intese come sorprese positive o negative, possono esserci anche nel concorso. Io non ho notai in famiglia, sono un homo novus , mio padre era dirigente di banca. In ogni caso, la percentuale di figli è al di sotto di quella che c'è in medicina e avvocatura». Il Notariato stima che al concorso passa un candidato su 20 aspiranti. Falconio si scusa in anticipo se l'intervista finirà. «Sto facendo il baby sitter ai miei figli di 3, 2 e 1 anno. No- si corregge - volevo dire il padre». Ha vinto il concorso a 27 anni, ma è rimasto sui libri un anno in più, ha saputo di essere passato l'anno dopo. «Ho studiato dal '95 al 2000 anche durante il servizio militare come marinaio semplice. Giravo l'Italia, studiavo la notte nelle garitte mentre ero di guardia. Ma ciò di cui vado fiero è il mio tesserino di giornalista pubblicista: per 10 anni ho diretto "Spazio Capri", mensile dell'isola. Scrivevo di tutto tranne che di diritto: critica cinematografica e teatrale, qualche commento sulle questioni politiche generali e locali. Ora non ho più tempo».

Dal 2006 i notai sono stati spesso su giornali e tv, non più come in passato per controllare la regolarità dei giochi a premi ma davanti alle telecamere, chiamati a fornire dati e ragioni dei loro guadagni e di quelli che i detrattori chiamano privilegi. Effetto collaterale delle lenzuolate Bersani e della manovra Visco-Bersani, norme che hanno abolito le tariffe minime vincolanti ed eliminato alcuni compiti esclusivi dei notai: la cancellazione automatica delle ipoteche e il passaggio di proprietà degli autoveicoli la cui perdita, stima il notariato, ha portato una diminuzione del giro di affari del 10 per cento.

L'Antitrust sta sempre con gli occhi puntati. Chiede di ridefinire il numero chiuso e lamenta la poca liberazzazione delle tariffe dei notai come degli altri professionisti. A fine 2007 l'Authority bacchetta banche e notariato perché non abbassano i costi per trasferire il mutuo da una banca all'altra (la cosidetta portabilità prevista dal decreto Bersani- bis). Nella primavera 2008 censura il controllo degli Ordini locali sui guadagni dei notai, giudicato «potenzialmente lesivo della concorrenza». Nello stesso periodo, uno dei primi decreti del governo Berlusconi sottrae ai notai un'altra competenza esclusiva: adesso la cessione di quote di Srl può essere fatta anche dal commercialista. La campagna mediatica è stata lunga.

Barassi può fare dei confronti, è stato presidente del notariato nel triennio 1984-86, poco se si considera la durata media ai vertici. «Sa chi era Cincinnato? - glissa - . Quello di Roma è stato un bel periodo, ogni giorno a seguire come si formano le leggi, la vita politica del paese. L'Ordine è nato nel 1949continua - , da allora ogni due anni sembra che il notariato debba chiudere per un attentato. Se i notai moriranno, invece, non sarà per Bersani ma per i notai stessi, che non riusciranno a seguire l'evoluzione e le difficoltà delle nuove normative. Si può leggere una legge, impararla a memoria e così vincere un concorso, ma poi quella legge si deve applicare. Le pulsioni dirette a stravolgere il sistema non hanno retto». Falconio: «L'Antitrust è uno strumento di governo della concorrenza del mondo imprenditoriale. Le libere professioni vi rientrano solo vagamente e come eccezione. Ancor meno vi rientra il notariato che è un servizio pubblico, espressione di una funzione statale». Pensare una concorrenza tra notai e altri professionisti, dice il giovane notaio, è come «immaginare una gara di salto in lungo tra canguri e rinoceronti. Le regole, anche genetiche, sono diverse».

  CONTINUA ...»

6 agosto 2009
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