Per le toghe, il tempo degli esami è vicino. Sembrano ormai archiviati gli anni delle dotte disquisizioni sulla legittimità della valutazione di produttività o degli allarmi sulla violata indipendenza che proliferavano mentre la nave-Giustizia faceva sempre più acqua. Ora tutto è pronto per misurare se e quanto un magistrato lavora, quanto "rende", se potrebbe fare di più e meglio. Soprattutto, sembra diffusa tra le toghe l'idea di lasciarsi misurare. Questa svolta epocale, ormai prossima, è l'esito di un tormentato processo di riflessione dell'intera magistratura, stimolata da angolazioni diverse: le odiate modifiche all'Ordinamento giudiziario, le nuove tecnologie, la carenza grave e progressiva di risorse, i tagli al personale, la diffusa richiesta di efficienza e - perché no? - spinte corporative tese a mettere un tetto ai carichi di lavoro, oggi molto elevati.
Tutto questo agita le toghe da tempo, da ben prima delle invettive del ministro Renato Brunetta sui giudici che non lavorano, sui tornelli e i braccialetti elettronici.
Due commissioni formate da 13 magistrati, una per il penale (presieduta da Luigi Marini) e una per il civile (guidata da Mariano Sciacca), hanno da poco terminato il giro dei 12 Tribunali e anche l'elaborazione dei dati statistici su quegli uffici, messi a disposizione dal ministero. Le conclusioni dell'indagine sugli standard di valutazione è già nelle mani del committente, il Consiglio superiore della magistratura.
Obiettivo raggiunto? «Ritengo di sì - risponde Sciacca, giudice a Catania -. Anche se il risultato è da affinare, la base del metodo per valutare il nostro lavoro, quella c'è». Quali i risultati di sei mesi di analisi?
Il risultato è che non può esistere un numero indice di produttività dei magistrati, o un'asticella valida per "la magistratura" sotto la quale scatta il demerito del fannullone. La differenza dei riti, la dimensione degli uffici, la collocazione territoriale, le dotazioni tecniche sono variabili impossibili da ponderare a livello nazionale. Il campione esaminato - scelto con lo staff di statistici messo a disposizine da Via Arenula - ben rappresenta la realtà nazionale: 12 uffici opportunamente dislocati, suddivisi tra piccoli e grandi, il lavoro di oltre 800 giudici civili e di un migliaio di toghe del panale, è stato setacciato fino a far emergere i cluster, gruppi con caratteristiche omogenee e quindi comparabili. Alla fine, è stato stabilita una forchetta dentro cui posizionare i diversi gruppi di attività e di rendimenti. L'unico ambito in qualche modo omogeneo è quello dell'ufficio – stesso territorio, stesse caratteristiche di contenzioso, stessa organizzazione e stessa dirigenza – ma l'obiettivo resta quello di creare griglie di valutazione del singolo magistrato sulla base di parametri certi, scientifici e trasparenti. Anche perché la riforma dell'Ordinamento prevede che ogni 4 anni scatti la valutazione da legare alla carriera: quante pratiche aveva il giudice X? quante ne ha definite? come mai nella stanza accanto il collega Y ne ha definite il doppio? Oppure: come ha fatto il giudice X a chiudere il triplo delle pratiche del collega Y? «Anche l'iperproduttività – spiega Sciacca – è un parameto di rischio, perché potrebbe nascondere un problema di qualità».
Nel penale o nel civile, i "commissari rilevatori" concordano sul fatto che questa massa di vituperati fannulloni «proprio non c'è», semmai ci sono centinaia di colleghi «costretti a lavorare duro senza strutture e senza personale». Un assunto ribadito proprio ieri dal Procuratore antimafia Piero Grasso: «Ma quali fannulloni! I colleghi schierati contro la criminalità organizzata – ha detto – sono piuttosto dei missionari perché impegnatissimi ogni giorno ben oltre l'orario normale di lavoro».
E il ministero? Per il momento, Via Arenula sta ai margini e si limita a offrire supporto tecnico alle iniziative del Csm. E non può che essere così, perché al Guardasigilli spetta l'onere dell'organizzazione, magistrati esclusi. «Il nostro aiuto lo diamo – dicono al Dog, il Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria –. Mettiamo a disposizione software e hardware, oltre che figure specializzate». Ma il ministero rivendica anche il merito di aver affidato l'Ufficio statistico a Fabio Bartolomeo, specialista in materia, anziché a un magistrato. «È la prima volta che accade e pensiamo che a un tecnico sarà più facile operare con serenità, anche pestando qualche piede o scoprendo qualche altarino, se occorre...». E secondo il ministero occorre, perché «se c'è un problema di scarsità di fondi, esiste anche una forte carenza di competenze manageriali».
Un punto di vista "altro" sul tema produttività, viene dall'esperto di organizzazione giudiziaria Giovanni Xilo: «Con la sola "laboriosità intelligente", così di moda adesso tra i magistrati, non andremo lontano. Tutte le categorie professionali cercano un numero, un numerino rassicurante cui riferirsi. Poi si dannano per arrivarci e poi il miglioramento si ferma lì, a quel numero». Il problema, per Xilo, è invece la qualità dell'organizzazione e dei dirigente cui è affidata: «Ovunque ci sia un buon capo, l'ufficio funziona, il servizio si velocizza. Mi chiedo perché, tra i mille corsi di formazione offerti dal Csm, ancora oggi non ce n'è uno come si deve per addestrare i dirigenti degli uffici».