Ogni anno la pubblicità su Sky si abbasserà di un 2% l'ora: nel 2010 gli spot non potranno essere più del 16% orario, poi il 14%, infine dal 2012 entrerà a regime il tetto del 12%: è, non a caso, l'anno in cui decadranno i limiti imposti a Sky dopo la fusione Stream-Tele+: dal primo gennaio 2012 potrà, ad esempio, offrire pay tv sulle frequenze terrestre e acquistare diritti per tutte le piattaforme. Prevista nel decreto anche una dichiarazione d'inizio attività per i siti, da You Tube a Rai.tv che offrono prevalentemente contenuti audiovisivi.
Il "tetto" graduale per la pay tv è stato inserito nel decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri per recepire la direttiva comunitaria sui nuovi media e i nuovi servizi audiovisivi. Con il decreto arriva anche l'inserimento di marchi e prodotti nelle serie televisive, come accade già al cinema: é il cosiddetto product placement.
Quella della pubblicità su Sky è una decisione che ha una sua popolarità: su alcuni canali di Sky le interruzioni non mancano certo, anche se va detto che i film su Sky Cinema sono trasmessi senza spot al loro interno. Mediaset viene favorita, senza esagerare: l'affollamento degli spot per le reti in chiaro resta al 18% ma passa al 20% con le telepromozioni mentre anche i canali di Mediaset Premium subiscono il limite graduale come Sky.
Impopolare è il contesto televisivo italiano, che penalizza sia gli utenti sia i produttori di cultura e d'innovazione, sia gli editori indipendenti di canali tematici. Chi ha in mano la rete di trasmissione ed è anche editore, infatti, può ammortizzare i minori introiti pubblicitari cedendo capacità trasmissiva o aumentandone il prezzo o riducendo la produzione di programmi all'esterno. Chi, invece, già paga per avere tale capacità dagli operatori di rete - come Rai, Mediaset e Telecom Italia Media che però non ha un bouquet di canali - sta sul mercato solo con la pubblicità o, per i canali su Sky, con un fee versato dalla piattaforma satellitare.
Il tetto rischia di favorire i più forti. Come spesso accade per le misure uguali per tutti, non asimmetriche, ovvero non più stringenti per i soggetti più forti, quelli in posizione dominante e meno stringenti per quelli di cui si vuole favorire la competitività. Il risultato è quello che ha illustrato oggi al Summit della Comunicazione, a Roma, Giorgio Gori, amministratore delegato di Magnolia: in Italia c'è meno innovazione, meno creatività, meno qualità rispetto ad altri sistemi tv europei, anch'essi in transizione verso il digitale ma con un altro assetto, teso a far aumentare la concorrenza e, di conseguenza, il pluralismo. Da noi si va in direzione opposta.