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Clandestini espulsi anche se
i figli minori vanno a scuola

di Patrizia Maciocchi

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11 marzo 2010
Clandestini espulsi anche se i figli minori vanno a scuola

I figli minori che frequentano la scuola non salvano il clandestino dell'espulsione. La Cassazione, con la sentenza n.5856 (il testo su Guida al diritto) inverte la marcia in tema di diritto al ricongiungimento per gli stranieri. Gli ermellini escludono, infatti, che il diritto dei bambini a ultimare gli studi nel territorio dove vivono e dove li hanno iniziati rientri tra le situazioni particolari in grado di bloccare un provvedimento di espulsione.

Il parere negativo al permesso di restare in Italia, partito dalla Corte d'Appello di Milano, nei confronti di un cittadino albanese è stato confermato dalla Corte di Cassazione. La richiesta di restare nel territorio era stata inoltrata sulla base del diritto a «un sano sviluppo psico-fisico» dei due figli avuti da una signora in possesso di regolare permesso di soggiorno e in attesa di ottenere la cittadinanza italiana. Secondo il ricorrente il suo allontanamento avrebbe avuto un contraccolpo negativo sull'equilibrio dei bambini.

La Suprema corte precisa però che i «gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore» devono essere determinati da situazioni di emergenza e non possono invece derivare da circostanze di «tendenziale stabilità» come la frequenza della scuola da parte dei minori e il processo educativo formativo che rientrano nell'«essenziale normalità» e non fanno dunque scattare la tutela prevista dall'articolo 31 del Testo unico sull'immigrazione.

Il Supremo collegio ha così sconfessato una precedente sentenza della stessa sezione (n.823 del 19 gennaio 2010) che aveva invece acconsentito alla richiesta di restare di un genitore extracomunitario, bollandola come riduttiva, in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore senza tener conto «dell'inquadramento sistematico nel complessivo impianto normativo». La decisione degli ermellini mette in guardia anche contro il rischio di strumentalizzazione dell'infanzia da parte dei clandestini.

La Suprema corte si muove però in una direzione contraria rispetto a quella indicata sia dal diritto internazionale sia dal diritto comunitario che, in tema di diritto al ricongiungimento, anche in caso di espulsione, considerano centrale l'interesse del minore. Un principio affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza C-540/03 del 2006 e ribadito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che sanziona gli Stati che assumono comportamenti contrari a quanto previsto dall'articolo 8 della Convenzione sul rispetto della vita privata e familiare. Per finire, la direttiva comunitaria 2003/83, pur ribadendo il potere discrezionale degli Stati in fatto di espulsione individua un limite proprio nel diritto al ricongiungimento e nella tutela della famiglia.

11 marzo 2010
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