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DENARO A BUON MERCATO, COSA CI ATTENDE

Guido Tabellini: tassi al 2,75% prima dell'estate

La Bce ha inaugurato una nuova fase di rialzo dei tassi che porterà il costo del denaro al 2,75% prima dell’estate 2006. La pensa così l’economista Guido Tabellini, che analizza il possibile impatto sull’economia europea della nuova stagione di politica monetaria. «Non credo – spiega - che rialzi di questo tipo abbiano un effetto rilevante sui consumi. Sarei invece più preoccupato per quello che può accadere al tasso di cambio e quindi alla situazione delle imprese e dei lavoratori occupati in quelle imprese che competono di più sui mercati internazionali».

Il rialzo odierno dei tassi di interesse sarà una mossa una tantum o ne seguiranno altre?

E’ difficile immaginare che sia una mossa una tantum. Se così fosse sarebbe non molto giustificata. Immagino che una volta che inizia il processo sarà seguito da almeno un altro paio di aumenti. Tuttavia le note di cautela del Presidente Trichet vanno intese come un’indicazione che questo processo di restrizione monetaria si fermerà prima piuttosto che poi. Però uno solo mi sembra troppo poco.

Può indicare una tempistica dei ritocchi all’insù?
Mi aspetto di arrivare entro il primo semestre del 2006 al 2,75%.

A colpi di 25 punti base ciascuno?
Sì, e visto che cominciamo adesso mi aspetto che nella tarda primavera arriveremo al 2,75%.

Troppi rialzi non rischiano però di soffocare una ripresa ancora fragile?
Sì, sicuramente questo rischio c’è. In questo momento abbiamo visto un segnale ancora incerto di accelerazione della crescita ma una sostanziale stabilità dal punto di vista dell’inflazione core (cioè al netto della componente energetica e agricola, le voci più volatili). Sul fronte dell’inflazione questa è una mossa ancora preventiva e non ancora una mossa per cercare di combattere un’inflazione che è ripartita.

Quindi lei condivide la tesi secondo cui con un’inflazione core sotto controllo (all’1,4% a ottobre) e dunque un aumento dei prezzi giustificato solo dal caro-petrolio la Bce avrebbe potuto tranquillamente mantenere lo status quo?
La condivido. In questo momento credo che non sia convincente la tesi secondo cui la Bce fa bene a far salire i tassi. E’ chiaro che una volta avviata la fase di rialzo si andrà avanti, però condivido le critiche. Il problema non sono solo questi 75 punti base di per sé, ma le ripercussioni che questi possono avere sul tasso di cambio. Se, come già in parte è accaduto, il segnale di un’inversione del ciclo dei tassi in Europa torna a fare apprezzare l’euro, allora l’effetto per l’economia europea potrebbe essere significativo. Questo rischio è particolarmente importante se teniamo conto delle fragilità della situazione americana. In questo momento il dollaro è forte, ma il disavanzo delle partite correnti è molto elevato e quindi se la Fed smettesse di operare una stretta monetaria, il dollaro potrebbe indebolirsi molto. Se questo accadesse ci sarebbe il rischio di una stretta eccessiva da parte della Bce.

Lei ritiene dunque che l’Eurotower avrebbe fatto meglio ad aspettare?
Personalmente avrei rimandato questa decisione di stretta al febbraio-marzo 2006, quindi di qualche mese per essere sicuri del consolidamento della ripresa e del riassorbimento della capacità produttiva e portare i tassi intorno al livello di neutralità (che non rappresenta un freno né una spinta all’economia) al 3-3,5%.

Per lei qual è il livello ottimale del tasso di cambio euro/dollaro alla luce dei fondamentali economici?
E’ difficile dirlo. Sicuramente il disavanzo americano dovrà essere chiuso anche immaginando una svalutazione significativa del dollaro. Questo non vuol dire che sia ottimale per l’Europa e per l’economia mondiale. Ma un profilo inalterato dei risparmi delle famiglie e dell’amministrazione pubblica americana non è sostenibile.

I rialzi avranno le stesse ricadute in tutti i Paesi o il loro impatto sarà diverso?
L’impatto sarà diverso perché i Paesi sono in diverse fasi del ciclo. L’Italia purtroppo, insieme alla Germania, viene da un periodo di crescita non molto buono ed è un Paese particolarmente esposto al rischio che si tratti di una stretta prematura. In Spagna, invece, questo rischio non c’è, quindi l’impatto sarà differenziato.

Saranno dunque i governi a dover fare la loro parte con l’attuazione di riforme strutturali, come recita ormai il leitmotiv dell’Istituto di Francoforte?
Sicuramente questa sarà una priorità importante sapendo che la Bce rende più urgente e difficile questa situazione.

Quale sarà l’impatto di un nuovo ciclo di rialzo del costo del denaro sul debito pubblico italiano? Recentemente Standard and Poor’s ha espresso le proprie preoccupazioni in questo senso, spiegando che un rialzo dei tassi può provocare un allargamento del differenziale dei rendimenti tra il debito pubblico italiano e quello tedesco e di conseguenza un aggravamento del servizio del debito per l’Italia.
Questo può succedere e in un passato non molto lontano questo differenziale era arrivato a circa 40 punti base. E’ quindi plausibile che nel momento in cui salgono i tassi europei si ampli un po’ il differenziale. L’effetto più importante nel differenziale dipende dalla politica fiscale del governo italiano e quindi credo che bisogna fare attenzione non tanto a quanto succede alla Bce ma alla finanza pubblica italiana.

Non c’è il rischio che la mossa si riveli un’arma a doppio taglio che potrebbe colpire consumatori e risparmiatori?
Il costo del denaro continua ad essere molto basso. Dal 2 al 2,75% i tassi restano ancora modesti rispetto a qualunque standard. Avremmo una politica restrittiva se i tassi si avvicinassero al 4%. Non credo che rialzi di questo tipo abbiano un effetto rilevante sui consumi. Sarei invece più preoccupato per quello che può accadere al tasso di cambio e quindi alla situazione delle imprese e dei lavoratori occupati in quelle imprese che competono di più sui mercati internazionali.

Teme lo scoppio di una bolla nel settore immobiliare?
Non credo ci sia una bolla in Europa. Ci sono alcune zone in cui forse i prezzi sono saliti troppo, probabilmente in Spagna, ma non credo che ci sia una situazione generalizzata di rialzo dei prezzi degli immobili.

Passando alla crescita: come vede il Pil dell’Eurozona a fine 2006? E quello italiano?
Credo che la previsione più attendibile sia intorno all’1,75%, ma non si tratta di una crescita che genera pressioni inflazionistiche. Per l’Italia, che sconta ancora un po’ l’effetto di trascinamento del 2005 negativo, immagino una crescita tra l’1 e l’1,5%.

L’annuncio di Trichet inaugura secondo lei una nuova fase di comunicazione dell’Eurotower, più all’americana di anticipazione della strategia?
E’ stata una decisione un po’ inconsueta perché un annuncio così chiaro ha legato eccessivamente le mani alla banca centrale. Non credo che questo sia una modello di comunicazione. Può darsi, e mi auguro, che sia qualcosa di estemporaneo. Sicuramente tutte le banche centrali vogliono essere più trasparenti e chiare, ma questo non vuol dire annunciare in anticipo la decisione futura perché la decisione va presa tempestivamente quando è il momento.

L’arrivo di Ben Bernanke alla Fed coinciderà con una nuova era per la politica monetaria americana? Quanti rialzi ci saranno nel 2006?
No, credo che quella di Bernanke sarà una linea di continuità rispetto ad Alan Greenspan. Credo che la Federal Reserve porterà in tassi al 4,5%, probabilmente al 4,75%. Quello che succederà dopo è difficile da prevedere perché dipende dall’evoluzione dell’economia.



 

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