La società europea (SE, da societas europaea) è arrivata in porto dopo circa 30 anni dalla prima proposta.
Lo scopo è nobile: creare un’entità giuridica che consenta a società di Stati membri differenti della Ue di fondersi, di fondare una holding o una filiale comune senza dover sottostare ai vincoli giuridici e pratici derivanti da (ormai) 25 ordinamenti differenti. Ma fra gli scopi c’è anche quello di organizzare la partecipazione dei lavoratori nella società europea e riconoscere il loro ruolo nell’impresa, con esplicito riferimento a un ordinamento che è tipico di alcuni stati, come la Germania, ma non di altri, che pure l’hanno previsto nelle loro leggi.
Si possono individuare tre principali problemi, accanto agli indubbi vantaggi della normativa. Il primo dipende proprio dalla sua longevità: un progetto partito da così lontano non può riflettere le tendenze più recenti. Come le riforme scolastiche, la cui elaborazione richiede spesso alcuni decenni, vanno in porto quando la società è molto cambiata rispetto a decenni prima, così questa legge istitutiva si trova a proporre strumenti di sorveglianza che spesso nel frattempo sono stati abbandonati o attenuati. La cosiddetta co-gestione, se pure ha mai realmente funzionato, ha dimostrato la sua impraticabilità nei momenti di crisi aziendale o turnaround, quando si è dimostrato difficile far contribuire i lavoratori alla ripartizione delle perdite dopo che avevano partecipato alla ripartizione dei profitti. Del resto, un acuto osservatore come Bernard Henri-Levy aveva osservato fin dai tempi, non sospetti, del suo massimo fascino, che la cogestione “è la peggiore delle dittature, essendo ciascuno secondino di se stesso”.
Paesi che hanno introdotto il sistema dualistico, come l’Italia con la riforma del diritto societario, in pratica non lo adottano e preferiscono restare allo schema monistico in cui la gestione è interamente affidata all’organo amministrativo (il consiglio di amministrazione). L’intervento dei lavoratori resta quindi affidato alla normale dialettica dei rapporti di lavoro, ciò che non dispiace né agli imprenditori né a quella parte più radicale della rappresentanza dei lavoratori che non vuole essere coinvolta in processi gestionali che la porterebbero a entrare in uno spirito collaborativo con un sistema che non condivide. Prassi che, se vogliamo, è per antonomasia il sistema che regola i rapporti nei paesi anglosassoni, che non sono mai stati affascinati dalle teorie renane.
Il secondo problema riguarda tutto l’aspetto del regime fiscale. Essendo l’armonizzazione europea tutt’altro che realizzata, vige il principio che le SE siano soggette alle imposte e alle tasse di tutti gli stati membri in cui hanno sede stabile. È noto che la mancata armonizzazione altro non è che l’aspetto più visibile della mancata armonizzazione economica, che al momento è addirittura in fase recessiva, a causa delle difficoltà di bilancio di molti stati membri. Resta il fatto, tuttavia, che dal punto di vista finanziario, al momento, continueranno a essere privilegiate le holding lussemburghesi a quelle di nuovo conio SE.
Infine il problema, molto attuale, della corporate governance. Si suppone che le nuove SE debbano sottostare, quanto meno, alla recente raccomandazione della Commissione europea (n. 2005/162/CE del 15 febbraio 2005) “sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio d’amministrazione e di sorveglianza”. La raccomandazione si inquadra in un processo denominato “Piano d’Azione sulla modernizzazione del diritto delle società e il rafforzamento del governo societario dell’Unione europea”, per cui sembrerebbe strano che la nuova SE non vi si adeguasse. Resta il fatto, tuttavia, che si tratta pur sempre di una raccomandazione, cioè una fonte “soft”, che sarà probabilmente trasformata in una direttiva alla scadenza (giugno 2006, forse) di una fase di analisi delle misure applicate dai singoli Stati. Alcuni paesi, fra cui la stessa Italia, sono ormai in una fase più avanzata, grazie all’adozione di codici di autodisciplina come quello della Borsa italiana, alla stessa recente legislazione, ai codici deontologici come quello di NedCommunity, che hanno proceduto sulla falsariga, ancora una volta, adottata dai paesi anglosassoni. Due Europe anche qui? La nuova SE potrebbe essere espressione, anche se non lo vorremmo, di questo dualismo.