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di Piero Fornara

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7 ottobre 2006

Artioli: «Il pacchetto Sud ci aiuta, ma sono penalizzate le Pmi»
di Piero Fornara


Ettore Artioli«Questa volta ci troviamo nella strana e scomoda situazione di vedere il Sud vincente rispetto ad altre realtà del Paese, che si sentono fortemente penalizzate per le molte ombre della Finanziaria 2007: nel Mezzogiorno invece si aprono nuove aspettative, perché finalmente vediamo riconosciuto quanto avevamo chiesto con il Progetto Sud, messo a punto anche con il contributo delle organizzazioni sindacali». Così esordisce Ettore Artioli, vice presidente di Confindustria per il Mezzogiorno e già direttore del mensile dei Giovani Imprenditori “Qualeimpresa”, rispondendo alle domande del “Sole 24 Ore. com” in margine al convegno di Capri. Con lui parliamo di Finanziaria 2007, fiscalità di vantaggio e rilancio degli investimenti per il Mezzogiorno.

La Finanziaria varata dal Governo, a cominciare dal trasferimento all'Inps della parte inoptata del Tfr, non piace a Confindustria, ma per il Mezzogiorno hanno preso corpo il taglio differenziato del cuneo fiscale doppio rispetto al Nord, la stabilizzazione del credito d'imposta e l'istituzione delle Zone franche urbane. Il giudizio complessivo sulla manovra diventa quindi più articolato?
Nel suo complesso, la Finanziaria non piace a Confindustria, perché finisce per togliere con una mano ciò che dà con l’altra, disattendendo gli impegni virtuosi di riduzione strutturale della spesa contenuti nel Dpef. Particolarmente penalizzate dal trasferimento delle quote di Tfr sono le piccole imprese, che hanno le maggiori difficoltà di accesso al credito e che hanno sempre usato questa risorsa per l’autofinanziamento: certamente, nel Mezzogiorno questo problema è ancora più sentito, a causa della struttura finanziaria delle imprese e del funzionamento del mercato creditizio. Ciò detto, confermo che il ddl della Finanziaria è attento alle aspettative delle imprese meridionali: la reintroduzione del credito d’imposta automatico (che non ha limiti di ammontare per gli investimenti che vengono fatti), il cuneo fiscale differenziato, le Zone franche urbane (Zfu) rappresentano tre misure di quel pacchetto fiscale che avevamo concordato con i sindacati e le Regioni meridionali. Per quanto riguarda le Zfu, posso dire che l’esperienza francese, da cui verrebbe mutuata la proposta, ha fatto registrare lusinghieri risultati in favore delle piccole e medie imprese, soprattutto quelle di nuova costituzione: nelle 44 zone iniziali (ora ve ne sono 85), nei primi cinque anni di attività le imprese presenti sono raddoppiate, mentre gli occupati sono cresciuti di quasi tre volte.

Queste iniziative potranno servire anche per far emergere il lavoro sommerso, al Sud più diffuso che al Nord?

Per quanto possano essere di qualche utilità, anche in chiave di riduzione del fenomeno del sommerso, trattandosi di interventi molto circoscritti, non è tanto alle Zfu che bisogna guardare per far emergere il lavoro e l’impresa irregolari, quanto alla creazione di condizioni di contesto (semplificazione amministrativa, contrattazione, credito e naturalmente sicurezza delle imprese e dei cittadini) che spingano verso la “regolarità”: in presenza di tali condizioni favorevoli, potranno risultare efficaci il rafforzamento dell’attività ispettiva e strumenti (come ad esempio il bonus occupazione) che, promuovendo le assunzioni, rendano conveniente l’emersione. Da questo punto di vista, la Finanziaria avrebbe potuto fare qualcosa di più.


Sulla “fiscalità di vantaggio” per ridare slancio al Mezzogiorno, in un recente intervento sul ««Sole 24 Ore», il professor Donato Masciandaro ha messo in guardia dalle facili illusioni, perché il fisco “amico” non basta senza politiche per la sicurezza e contro la corruzione . Lei cosa ne pensa?

È difficile non essere d’accordo con il professor Masciandaro quando afferma che agire solo sulla leva fiscale non è sufficiente. Nel Progetto Mezzogiorno (l’accordo, sottoscritto nel novembre 2004 assieme ad altre 16 organizzazioni imprenditoriali e sindacali, che costituisce la base per le proposte comuni con le Regioni), indicammo alcune priorità di intervento come la promozione delle produzioni meridionali, l’attrazione di nuovi investimenti, il turismo, la valorizzazione dei centri urbani e ben 14 fattori di contesto che possono facilitarne la realizzazione. La fiscalità è solo uno di questi fattori, assieme alle infrastrutture, al rapporto tra banche ed imprese, alla semplificazione amministrativa, solo per citarne alcuni. Il consolidamento di normali condizioni per l’esercizio dell’attività d’impresa, dal punto di vista della cultura della legalità e del contrasto della criminalità ne è, senza dubbio, uno dei più importanti.
Assodato che non è conveniente farsi eccessive illusioni, e che gli interventi da mettere in campo sono molteplici e complessi, è pur vero che sul tema fiscale si può e si deve intervenire, non per creare improbabili "paradisi offshore", ma per rendere il fisco un po’ più amico di chi investe, e soprattutto di chi lo fa in condizioni oggettivamente più complicate, come quelle esistenti nelle Regioni meridionali, per effetto di divari storici e solo in parte avviati a riduzione.

Le più recenti previsioni macroeconomiche della Svimez, elaborate in base al modello bi-regionale Mezzogiorno/Centro-Nord, vedono nel 2006 un parziale riscatto per il Sud con la risalita del Pil, delle esportazioni e dei consumi delle famiglie, dopo un 2005 con l’Italia ferma e il Mezzogiorno in seppure lieve arretramento. Come si possono rafforzare quei fattori, a cominciare dagli investimenti, che avevano permesso al Sud di registrare, nella prima metà degli anni 90 e a cavallo del cambio di secolo, tassi di crescita superiori al resto del Paese, innescando una convergenza virtuosa con il Centro-Nord?
È necessario riavviare innanzitutto gli investimenti: anche a causa delle difficoltà della finanza pubblica, si è assistito a una progressiva frenata degli investimenti pubblici in infrastrutture e servizi, ben lontani dall’obiettivo del 45% della spesa in conto capitale da destinare al Sud. Stesso discorso si può fare a proposito del sostegno alle attività produttive: basti pensare che ci sono voluti due anni e mezzo per pubblicare un nuovo bando della Legge 488/92, il principale strumento di incentivazione delle imprese meridionali. Il periodo 2007-2013 può essere decisivo: 20 miliardi di euro di fondi strutturali saranno a disposizione delle Regioni meridionali, a cui andranno aggiunti il co-finanziamento nazionale e regionale e le risorse che verranno stanziate dalla finanza pubblica per la politica nazionale di riequilibrio, fino a raggiungere una cifra complessivamente vicina ai 100 miliardi di euro. È fondamentale perciò capire come questa ingente mole di risorse verrà utilizzata. Nel Quadro strategico nazionale (il documento che dovrà programmarli) si propongono obiettivi di produttività, competitività ed innovazione, da perseguire mediante la produzione di servizi collettivi per i cittadini e le imprese in grado di attirare persone e capitali e con forme mirate di incentivazione, al fine di rafforzare le condizioni di concorrenza nei mercati dei capitali e servizi di pubblica utilità. È una strategia che condividiamo – anche perché coerente con l’esigenza del Patto per la produttività recentemente lanciata da Confindustria – a condizione che ad essa si accompagni una reale capacità di semplificare le regole, di concentrare gli interventi e di promuoverne la qualità: tutti elementi che non hanno caratterizzato l’attuale ciclo di programmazione dei fondi europei.

Parliamo dei giovani e delle donne: al Sud è aumentato il tasso di scolarizzazione, sia nelle medie superiori che all’università, ma sono ancora alti gli abbandoni e i fuori-corso e resta forte il divario nel tasso di disoccupazione dei laureati nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord; per quanto riguarda la condizione femminile, al di sotto dei 30 anni due inattivi su tre sono donne e crescono quelle che rinunciano a cercare un impiego, cioè si rassegnano a rimanere disoccupate. Confindustria ha delle proposte in merito?
È vero che – nonostante tutto – la scolarizzazione ha registrato progressi notevoli nel Mezzogiorno, almeno dal punto di vista quantitativo. Rimangono due grossi problemi: la qualità dell’apprendimento e la grave carenza degli sbocchi occupazionali.
Prendiamo l’Università: Confindustria pensa che bisogna evitare il proliferare di sedi universitarie di bassa qualità, fondate spesso per fini clientelari, in base alla falsa promessa dell’università sotto casa. Andrebbe ripensato il tema del valore legale del titolo, che finisce per omologare università buone e università cattive. Abbiamo poi dedicato una particolare attenzione al tema delle lauree scientifiche: ci sono troppi laureati nelle facoltà umanistiche (non solo in scienze della comunicazione), mentre diminuiscono gli iscritti alle facoltà scientifiche, quelle che forniscono le competenze indispensabili per lo sviluppo economico. Tutto questo si intreccia fortemente con il tema della condizione della donne meridionali, la cui situazione occupazionale è certamente pesante: la differenza (tassi di disoccupazione, livelli salariali e prospettive di carriera) fra le donne meridionali e quelle del Centro-Nord è molto più profonda di quella che esiste fra gli uomini meridionali e gli uomini del Centro-Nord. La diffusione abnorme nelle nostre regioni del lavoro sommerso e irregolare, che sul piano economico penalizza le imprese che rispettano le regole, sul piano sociale finisce per interessare soprattutto le donne, che rappresentano una quota cospicua della forza lavoro più debole. I servizi per le famiglie, sia pubblici che privati, sono nel Sud un settore troppo gracile: e questo significa poche occasioni di lavoro per le donne che potrebbero trovarvi uno sbocco occupazionale e contemporaneamente poco sostegno per quelle che potrebbero utilizzarli. Inoltre sono ancora poco diffusi proprio nel Mezzogiorno quei lavori a part-time, che possono facilitare alle donne la conservazione del posto di lavoro negli anni in cui l’educazione dei figli piccoli o altri impegni familiari rendono più difficile sostenere il peso di ruoli così diversificati ,come quelli che la società chiede alle donne.

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