Tanto di cappello alla grinta del livornese |
di Dario Ceccarelli |
E bravo il Grillo. Non è solo parlante. Ci sono volute quindici tappe, ma alla fine la spunta. Per pochi centimetri, davanti al tedesco Pollack, Paolo Bettini festeggia finalmente a Brescia la sua prima vittoria al Giro d'Italia. Questa volta, dopo tante delusioni, non alza neppure le braccia al cielo. Basta far la figura del biscaro, dirà poi commentando il successo, il quinto di questa stagione non proprio fenomenale. Eppure, tanto di cappello. Molti, al posto suo, avrebbero già mollato la presa. Ma Bettini, 32 anni, livornese con il gusto della battuta ("per forza non si fa neanche l'aceto", aveva replicato a chi gli diceva che ormai era obbligato a centrare almeno una tappa), è un osso duro. Non a caso, a differenza di altri purosangue, è venuto fuori alla distanza riuscendo a poco a poco diventare un cinico cacciatore di classiche. Medaglia d'oro ad Atene 2004, nel suo carniere pùò vantare due Liegi-Bastogne-Liegi, una Sanremo, un Giro di Lombardia, due coppe del mondo. Una buona carriera per un totale di 56 successi. "Anche questa volta, dice con sincerità, ho sfruttato il lavoro della Milram, la squadra di Petacchi. Li devo ringraziare..." Così è la vita. Ogni tanto capita. Si fa una grande fatica e poi gli altri raccolgono il frutto del tuo sudore. Purtroppo i compagni di Petacchi, senza il loro leader, sono come undici Gattuso senza Inzaghi o Shevcenko. Hai voglia di correre, di pilotare il treno, ma poi qualcuno deve pur far gol. L'istinto non s'inventa. E infatti Alberto Ongarato, quando vede la porta, pardon la linea del traguardo, finisce sempre per perdere il famoso attimo fuggente. Quello che non sfugge ai cacciatori come Bettini, che il traguardo ce l'hanno nel sangue. Dato al Grillo quello che è del Grillo, e ora di alzare gli occhi al cielo. Le Grandi Montagne, quelle che da due settimane si invocano come supremi giudici della corsa, si stagliano all'orizzonte coi loro profili verticali. Il primo è il Monte Bondone, arrivo in quota a 1730 metri. Poi ci sarà Plan de Corones, una salita da fare con lo ski-lift, non pedalando in bicicletta. E via le altre. Il Passo San Pellegrino, il Gavia, il Mortirolo, l'Aprica. La rumba delle Dolomiti. L'ultima prova che la maglia rosa dovrà superare, dicono gli scettici. Sarà. Ma l'impressione è che a ballarla, questa rumba, saranno ancora Cunego e compagni. 22 maggio 2006 |
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