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APPRENDISTATO


Nozione. La Legge Biagi ha completamente riformato la disciplina del contratto di apprendistato (articoli 47-53 del dlgs attuativo 276/2003), mantenendo però fermo il contenuto formativo (definito per questa ragione contratto a “causa mista”), vale a dire l’obiettivo principale di addestrare la forza-lavoro in ingresso.
Si può infatti ancora ritenere valida la definizione contenuta nel provvedimento istitutivo, la legge 25/1955, in base a cui l’apprendistato è la fattispecie contrattuale che impegna l’imprenditore, oltre a un corrispettivo per l’attività svolta, a compiere uno sforzo formativo all’interno del rapporto di lavoro, impartendo all’apprendista l’insegnamento necessario affinché possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, in cambio del riconoscimento di adeguati sgravi contributivi.

I soggettivi “attivi”. L’apprendistato si rivolge a chi intende specializzarsi in un’attività tecnica oppure allo studente che desidera intraprendere una professionalità, svolgendo però in anticipo un iter formativo “sul campo” e pertanto incentrato sulla pratica on the job.

L’ambito di applicazione. Il contratto può essere stipulato in tutti i comparti produttivi compreso quello agricolo. Il totale degli apprendisti assunti non può superare il 100% il numero del personale qualificato e specializzato già in servizio presso lo stesso datore di lavoro; ma nel caso quest’ultimo non ne abbia alle proprie dipendenze, oppure ne abbia meno di tre, può assumere tre persone con contratto di apprendistato.

Le fattispecie. La riforma ha individuato tre diverse tipologie di apprendistato a cui corrispondono differenti finalità di tipo formativo.

Requisiti di forma e caratteristiche comuni. Vi sono disposizioni che valgono per tutte quante le tipologie contrattuali:

Il contratto deve avere la forma scritta con l’indicazione della prestazione oggetto del contratto, il progetto formativo individuale e la qualifica che l’apprendista conseguirà al termine del rapporto di lavoro;

La disciplina degli aspetti formativi è rimessa alla potestà normativa delle Regioni;

L’assunzione dovrà essere comunicata al Centro per l’impiego competente entro i cinque giorni successivi;

Il “sotto inquadramento” dell’apprendista non può essere inferiore per più di due livelli alla categoria spettante a chi è titolare di mansioni o funzioni che richiedano qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto;

L’apprendista può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo; il datore di lavoro potrà invece recedere liberamente una volta concluso il periodo di apprendistato, previo preavviso ex articolo 2.118 del Codice civile;

Il compenso dell’apprendista non può essere determinato secondo tariffe di “cottimo”, ossia in base alla quantità di prodotto realizzato (cottimo “a misura”) o del tempo impiegato per raggiungere un certo risultato (cottimo “a tempo”);

La qualifica professionale ottenuta attraverso una qualsiasi delle tre tipologie di contratto di apprendistato, rappresenta credito formativo da spendersi per il proseguimento nei percorsi di istruzione e formazione professionale;

A tutte e tre le tipologie di contratto di apprendistato resta applicabile la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla legge 25/1955.


La prima tipologia. L’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione si propone di favorire l’entrata nel mondo del lavoro dei più giovani, promuovendo un collegamento fra scuola e fronte aziendale, in modo da consentire il raggiungimento di una qualifica professionale da parte di chi abbia già compiuto i 15 anni di età (in prevalenza si tratta della fascia di età fra i 15 e i 18 anni).

La sua durata dipende dal tipo di qualifica in questione, dal titolo di studio e dalla considerazione dei crediti professionali e formativi acquisiti; in ogni caso non può superare l’arco dei tre anni.


La seconda tipologia. L’apprendistato professionalizzante mira all’acquisizione di una qualifica mediante formazione sul lavoro e apprendimento tecnico-professionale.

E’ destinato a giovani dai 18 ai 29 anni, vale a dire 29 anni e 364 giorni, secondo quanto ha precisato la circolare del ministero del Lavoro n. 30/2005, mentre sono sufficienti 17 anni per le persone già in possesso di una qualifica professionale in base alla legge 53/2000 (riforma Moratti del ciclo scolastico);

La durata può andare da un minimo di due anni a un massimo di sei anni, secondo quanto stabilito dai contratti collettivi, che definiscono la durata del contratto in ragione del tipo di qualificazione da conseguire. A proposito è possibile sommare i periodi di apprendistato svolti nell’ambito del diritto dovere di istruzione e formazione con quelli dell’apprendistato professionalizzante, ma entro il tetto massimo dei sei anni;

È previsto un monte ore di formazione teorica di almeno 120 ore per anno, da svolgersi all’interno dell’azienda o anche a distanza (all’esterno): è compito della contrattazione collettiva nazionale, territoriale o anche aziendale determinare le modalità con cui devono articolarsi i percorsi formativi diretti a conferire all’apprendista competenze trasversali e tecnico-professionali;

Ogni apprendista terrà un libretto formativo personale in cui andrà riportato ciascuno step professionale, un valore aggiunto spendibile sia nel contesto scolastico che nella ricerca di un impiego.

La terza tipologia. L’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione rappresenta il modello più innovativo che cerca di integrare studio ed esperienza. Ha come finalità di assicurare ai giovani dai 18 ai 29 anni, attraverso lo svolgimento dell’attività lavorativa, il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario; o di titoli di studi universitari e dell’alta formazione; nonché la specializzazione tecnica superiore prevista dalla legge 144/1999.

In particolare:
Per questa ultima fattispecie di contratto non sono previsti limiti di durata;

La recente circolare del ministero del Lavoro 2/2006 ha confermato che questa fattispecie di apprendistato non presuppone la scissione fra attività lavorativa e frequenza a specifici corsi teorici di livello secondario, universitario, dell’alta formazione o per la specializzazione tecnica superiore. L’attività svolta in azienda - concordata fra Regione, parti sociali, Università e istituti formativi - sarà pertanto complementare al percorso di formazione stabilito nel piano formativo individuale;

La riforma Biagi, per rendere i percorsi formativi appetibili, affida alle Regioni la regolamentazione dei profili formativi e la durata dell’apprendistato di alta formazione, in accordo con le organizzazioni sindacali di lavoratori e datori di lavoro, con le Università e con le altre istituzioni formative o con gli organismi formativi accreditati (a seconda del titolo di studio da conseguire). Ciò dovrà avvenire mediante intese quadro di livello “locale”. Ma la circolare 2/06 ha chiarito che, al fine di fornire una disciplina unitaria, nell’ambito di queste intese devono trovare spazio le norme di dettaglio relative a ulteriori aspetti del contratto (tra cui il trattamento retributivo). Questo perché, a differenza delle altre due tipologie contrattuali, la Legge Biagi non è intervenuta con disposizioni di cornice a livello nazionale (neanche con riferimento ai limiti massimi di durata).

La normativa di riferimento. Dopo il decreto legislativo 276/2003, per l’entrata a regime dell’apprendistato, sono intervenuti i seguenti provvedimenti:

Circolare del ministero del Lavoro n. 40/2004;
Legge sulla competitività 80/2005 (articolo 13, comma 13-bis);
Circolare ministeriale n. 30/2005;
Circolare ministeriale n. 2/2006.

I problemi ancora aperti. Per l’operatività di questi strumenti occorre la regolamentazione dei profili formativi che il dlgs 276/2003, – in osservanza della riforma della Costituzione del 2001 che ha ripartito fra Stato e Regioni la competenza legislativa in materia di mercato del lavoro - ha rimesso alla legislazione di Regioni e Province autonome; inoltre è necessaria la definizione delle modalità di riconoscimento dei crediti formativi acquisiti, da parte del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - di concerto con il ministero dell’ Istruzione – previa intesa con Regioni e Province autonome.
Sul fronte dell’ apprendistato “professionalizzante”, la recente legge sulla competitività (la 80/2005) ha stabilito che fino all’emanazione delle leggi regionali in materia di formazione, il contratto è disciplinato dai contratti collettivi nazionali di categoria.
In relazione, invece, alla prima fattispecie di apprendistato in occasione delle more dell’intesa, che ha lo scopo di rendere compatibili gli obiettivi formativi di questo tipo di apprendistato con quelli del canale istruzione-formazione, gli apprendisti di età inferiore a 18 anni sono tenuti a frequentare corsi di 240 ore all’anno, secondo i criteri attualmente in vigore e fissati dalla legge 196/97, relativa alla precedente disciplina sull’apprendistato.
Ne deriva dunque una disciplina complessa, caratterizzata da forte formalismo, che richiede il confronto e il consenso unanime di una pluralità di soggetti, cioè Regioni, Stato e parti sociali in prima battuta. Ciò ha creato spesso problemi e incertezze sul piano interpretativo, tanto che lo scenario che ne emerge oggi - a distanza di due anni dal debutto formale di questi istituti - è quello di un’attuazione parziale e in stand by, con diverse Regioni che hanno portato avanti l’iter applicativo (ad es. Emilia Romagna e Lombardia) e altre che ancora stanno dando avvio alle sperimentazioni.



 

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