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LAVORO A CHIAMATA


Nozione. Il lavoro a chiamata o intermittente (o job on call) è il contratto con il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro che ricorre alla sua prestazione soltanto quando ne abbia effettivamente bisogno. Si tratta di una nuova fattispecie contrattuale introdotta dalla riforma Biagi (articoli 33-40 del Dlgs 276/2003) con il preciso obiettivo di regolarizzare la prassi diffusa del cosiddetto lavoro “a fattura”, utilizzato per lo svolgimento - dietro all’emissione di una fattura - di lavori autonomi non occasionali ma caratterizzati da una certa continuità e al tempo stesso a cadenza intermittente.

Le due forme. Il contratto può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato ed è previsto in due forme: il lavoratore, infatti, può scegliere di vincolarsi o meno alla chiamata. Nel primo caso il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere un’indennità di disponibilità, relativa ai periodi di inattività.

I soggettivi attivi. Legittimata a concludere questa tipologia contrattuale è qualunque impresa privata, a meno che non abbia effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge sulla sicurezza nei posti di lavoro (Dlgs 626/1994).

L’ambito di applicazione. Il job on call non può essere sottoscritto nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. Inoltre è vietato il suo ricorso:

- Al fine di sostituire lavoratori in sciopero;
- Nel caso si sia fatto ricorso nei 6 mesi precedenti a una procedura di licenziamento collettivo, oppure se è in corso una sospensione o riduzione di orario con cassa integrazione (salvo diverso accordo sindacale) per le stesse unità produttive e/o mansioni a cui si riferirebbe il contratto intermittente.

I soggetti passivi. Il lavoro a chiamata può essere firmato:

da qualunque lavoratore per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, - indicate dalla tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657, in attesa delle regolamentazioni da parte della contrattazione collettiva – oppure per il lavoro nei week end o in periodi predeterminati (ferie estive, vacanze natalizie o pasquali);

indipendentemente dal tipo di attività, da lavoratori con meno di 25 anni di età o di più di 45.

I requisiti di forma. Il contratto, ai fini della sua prova, deve essere redatto in forma scritta e riportare le seguenti indicazioni:

- durata ed ipotesi che ne consentono la stipulazione;
- luogo e modalità della disponibilità, preavviso di chiamata del lavoratore che non può essere inferiore ad almeno un giorno lavorativo;
- forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere la prestazione nonché i mezzi per rilevare la stessa;
- trattamento economico e normativo e la relativa indennità di disponibilità al lavoratore se prevista;
- tempi e modi di pagamento del corrispettivo e dell’indennità di disponibilità;
- eventuali misure di sicurezza.

La retribuzione. Il lavoratore a chiamata non deve essere sottoposto a discriminazioni. Gli spetta, pertanto, se pur proporzionato all’attività realmente svolta, la stessa retribuzione di chi risulta assunto a tempo pieno a parità di livello e mansione.

L’indennità di disponibilità. Il lavoratore intermittente, oltre ad aver sempre e comunque diritto al compenso per la prestazione svolta, nell’ipotesi in cui si sia obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, per i periodi di inattività, dovrà ricevere l’ulteriore indennità di disponibilità mensile, divisibile per quote orarie. Il compito di fissare l’ammontare dell’indennità è rimesso alla contrattazione collettiva.
Nel caso di temporanea impossibilità del lavoratore, per esempio a causa di infortunio o malattia, non maturerà il diritto all’indennità. Se ancora si tratta di prestazioni rese il fine settimana o durante periodi festivi o di ferie, l’indennità va corrisposta solo nel caso di effettiva chiamata del lavoratore. Va detto però che, salvo l’indennità, non sono previsti altri diritti che garantiscano un particolare riconoscimento o trattamento economico e normativo per il lavoratore a chiamata che decida di restare a disposizione del datore di lavoro.

Il rifiuto del lavoratore. Se il lavoratore si è obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro il suo rifiuto, senza giustificato motivo, può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto e il risarcimento del danno la cui misura è affidata alla contrattazione collettiva o in mancanza al contratto di lavoro.

La normativa di riferimento. La fase di attuazione del lavoro intermittente è stata rimessa ai seguenti provvedimenti:

Dlgs 276/2003, articoli 33-40;
Decreto del ministero del Lavoro 10 marzo 2004: ha quantificato l’indennità di disponibilità da corrispondere al lavoratore in attesa di chiamata;
Dlgs 251/2004 (correttivo del Dlgs 276/2003), articolo 10: ha ribadito che il contratto di lavoro intermittente può essere sottoscritto anche per il lavoro nel week-end o in periodi predeterminati (ferie estive, vacanze pasquali o natalizie);
Decreto del ministero del Lavoro 23 ottobre 2004;
Decreto del ministero del Lavoro di concerto con l’Economia 30 dicembre 2004;
Circolare del ministero del Lavoro 4/2005: ha fornito chiarimenti e indicazioni operative in merito all’impiego del contratto;
Legge 80/2005, articolo 1-bis: modificando il Dlgs 276/2003, ha confermato l’opportunità di stipulare il contratto di lavoro intermittente con giovani di età inferiore a 25 anni e lavoratori over 45 anche pensionati. Questa previsione non ha più carattere sperimentale.



 

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