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Argentina, più che un tango è stata una cavalcata
di Massimo Donaddio



È stata una cavalcata all’aria aperta per i ragazzi di Pekerman. L’Argentina inizia a dimostrare tutto il suo potenziale tecnico e si candida non solo per il primo posto nel girone (che vede anche la presenza dell’Olanda di Van Basten), ma pure per arrivare lontano in tutto l’itinerario mondiale. Il cappotto rifilato oggi alla formazione di Serbia-Montengro è un segnale inequivocabile di una grande condizione di forma e di una piena consapevolezza delle potenzialità di questa squadra. Tre goal in un tempo e tre goal nell’altro: una media da sogno per una nazionale che finora era data sicuramente seconda al Brasile di Ronaldinho e Kakà, ma che a questo punto non può più nascondere le proprie ambizioni. La nazionale serbo-montenegrina, in verità, ha completamente deluso: nulla a che vedere con le solide formazioni yugoslave di vecchia scuola. Estremamente statica, priva di idee, non ha graffiato nemmeno una volta e Abbondanzieri ha potuto dormire sonni tranquillissimi. L’Argentina ha demolito le speranze serbe in pochi attimi: al 5’ Rodriguez aveva già depositato in rete, e si ripeterà al 40’. Il goal di Cambiasso, al 31’, è da antologia del calcio, per il respiro dell’azione e per la partecipazione di metà squadra alla manovra offensiva. Un goal da vedere e da rivedere al replay. Impressionante la tranquillità con la quale l’Argentina imposta e realizza le proprie azioni: ai talentuosi sudamericani sembra riuscire tutto con grandissima facilità. Non un passaggio sbagliato, finezze varie, dribbling: una partita ricca di tecnica per apprendere l’essenza del calcio. Certo, l’avversario è piuttosto modesto e non oppone grande resistenza, e in più, al 20’ del secondo tempo, perde Kezman, espulso per un fallo da dietro su Mascherano.
Gli argentini partiti dal primo minuto cominciano, a questo punto, a rallentare il gioco: la Serbia è prostrata e non oppone un briciolo di resistenza. Basta umiliazioni, si dicono l’un l’altro i ragazzi di Pekerman. Ma non hanno ancora fatto i conti con il loro coach, che, vista la seduta di allenamento, decide di provare Tevez e Messi, gli assi rimasti in panchina. Non lo avesse mai fatto. Basta un’accelerazione del giovane talento del Barcellona per seminare il panico nella difesa serba: il traversone rasoterra trova Crespo subito pronto alla zampata vincente. È il quarto goal. Ma l’incubo della formazione slava non finisce fino a quando Tevez e lo stesso Messi non hanno marcato il tabellino con due azioni personali rapide e perfette. Il cappotto è completato. I campioni sono saliti in cattedra e la Serbia viene cancellata sul posto. Anche il Brasile deve ammettere: “è stato uno show”.


16 giugno 2006



 

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