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La mitica Seleĉao messa male in campo |
di Massimo Donaddio |
Annunciata da tutti come la squadra perfetta – quella del bel calcio, dei campioni, della fantasia al potere, dei piedi buoni – il Brasile, al suo esordio mondiale, delude in gran parte le aspettative dei suoi molti tifosi e degli appassionati di calcio in genere. L’1-0 ottenuto a Berlino con una Croazia più che buona non rende certo giustizia alla classe e alla fama della maggior parte dei giocatori verdeoro, che si sono dovuti accontentare di una vittoria risicata, scaturita, tra l’altro, da un lampo a ciel sereno di quel Kakà che, in qualunque posizione del campo giochi, vede la porta come pochissimi calciatori al mondo. Cosa è successo alla mitica Seleĉao? Probabilmente le risposte sono due: da una parte la precaria condizione di forma di alcuni uomini fondamentali, dall’altra una disposizione tattica che ha evidenziato senza dubbio qualche pecca.
Sembrava una formazione fatta apposta per ingolosire tutti gli amanti del grande calcio, di quello spettacolo sempre più latitante soprattutto in Italia. Chi non avrebbe voluto vedere giocare insieme Ronaldo, Adriano, Kakà e Ronaldinho? Bene, la formula, alla sua prima applicazione concreta, si è rivelata più rischiosa del previsto. Gli assi del Milan e del Barcellona, per far spazio alle punte davanti, hanno dovuto caricarsi sulle spalle l’ingrato compito di partire da molto lontano nelle loro azioni, praticamente dal centrocampo, costretti molto spesso a tornare a difendere e ad aiutare un Emerson lasciato di frequente ad arginare da solo i tentativi – estremamente degni di rispetto – della nazionale croata. I due esterni difensivi verdeoro, gli immortali Cafù e Roberto Carlos hanno spesso tentato di risalire la fascia in cerca di fortuna (Carlos ha più volte scoccato il suo siluro), esponendosi però al contropiede croato, piuttosto velenoso specie con Prso e Babic, davvero insidiosi sul lato sinistro. La difesa brasiliana è stata impegnata più volte e, non senza un po’ di apprensione, è riuscita a cavarsela senza troppi svarioni. I campioni in carica, però, hanno evidenziato ancora una volta i tipici problemi delle formazioni brasiliane, costruite tutte per la fase offensiva, a volte sbilanciate, non sempre in grado di reagire con prontezza ad attacchi di una certa consistenza. Se al posto della generosa Croazia ci fosse stata una nazionale di livello più alto, numerose occasioni da goal sarebbero state trasformate senza dubbio. A parziale giustificazione del tecnico Carlos Alberto Parreira, va segnalata l’inconsistenza assoluta delle due punte pure. Non sono mai state in grado di proporsi e di lasciare il segno: se lo avessero fatto, probabilmente nessuno avrebbe più nulla da dire sulla disposizione degli uomini in campo, anche se va attribuita allo stesso allenatore la responsabilità di aver fatto scendere in campo due veri e propri fantasmi, Ronaldo soprattutto, assolutamente fermo e di nessun aiuto alla manovra dei compagni.
Ronaldinho e Kakà si sono dovuti sacrificare, hanno speso molto, ma hanno fatto brillare ogni tanto il loro talento cristallino. L’asso del Barcellona è il faro del gioco brasiliano, e unisce al talento puro una bella visione di gioco e una tecnica sopraffina. All’attacante milanista, quando si sveglia, bastano un paio di finte e una bomba dalla distanza per bucare qualsiasi rete. Proprio come ieri sera.
La staticità del Brasile ha un poco sorpreso – in negativo – ma vale anche per i verdeoro il principio secondo cui gli esordi mondiali sono sempre partite delicate da prendere con le molle. Specie di fronte ad un avversario come la Croazia, ben messa in campo, tenace, a tratti più aggressiva e grintosa dei campioni. Il tempo per rimettersi in carreggiata, però, c’è ancora per il Brasile, che può vantare, tra l’altro, una panchina così ricca di campioni, che costituirebbe la formazione titolare di quasi tutte le squadre presenti al mondiale. Molto sarà allora determinato dalle scelte del commissario tecnico. Attaccare sempre, a qualunque costo, o costruire le vittorie con equilibrio e maggior acume tattico. La scelta – e le sue conseguenze – sono solo nelle mani di Carlos Alberto Parreira.
14 giugno 2006