Il Punto
Stefano Folli nasce a Roma da famiglia di origini milanesi. Laureato in lettere, muove i primi assi /nel giornalismo alla "Voce Repubblicana", l'organo storico del Pri allora guidato da Ugo La Malfa. Nel 1981 viene nominato direttore responsabile della nuova edizione della "Voce". Collaboratore di Giovanni Spadolini, Folli ne è il portavoce a Palazzo Chigi durante l'esperienza del primo governo a guida laica, fra il 1981 e '82. Nel 1989 passa al "Tempo" come caporedattore politico. Dalla fine del '90 è al "Corriere della Sera", come notista politico e, più tardi, editorialista, fino ad assumerne la direzione tra il 2003 e il 2004. Dal 2005 è editorialista de "Il Sole 24 Ore". Folli ha anche fondato e diretto la rivista di affari internazionali "Nuovo Occidente". Ha vinto alcuni premi di giornalismo, tra i quali il St. Vincent, il premio Ischia e il Fregene.
stefano.folli@ilsole24ore.com

Il passo americano sulle intercettazioni: il Pdl ora davanti a un bivio22 maggio 2010
È difficile immaginare un passo più inusuale, ma è accaduto e occorre capire perché. Al governo del presidente Obama non piace per nulla la legge contro le intercettazioni. Per dirlo il sottosegretario alla giustizia Breuer, che si trova a Roma, ha scelto un'occasione altamente simbolica: l'anniversario della strage di Capaci, in cui nel 1992 persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. Il messaggio è inequivocabile: negli Stati Uniti si ritiene che le nuove norme, se approvate, intralcerebbero il lavoro dei magistrati, che invece va tutelato a ogni costo.

Un giudizio così severo da parte americana su un provvedimento che il Parlamento sta ancora esaminando forse non ha precedenti. Va ad aggiungersi alle proteste sempre più vibranti dei media e delle organizzazioni dei giornalisti. E soprattutto indica la scarsa sintonia tra Obama e Berlusconi. Il che forse non è una novità. Il fatto nuovo è l'intervento così diretto e tempestivo. Dal punto di vista dei rapporti fra Stati amici siamo al limite dello sgarbo, anche se non mancheranno le spiegazioni rassicuranti.

La verità è che a Washington qualcuno preferisce mantenere solidi rapporti con ambienti della magistratura e delle forze investigative, in grado di cooperare oltre Atlantico, piuttosto che coprire una legge ambigua e poco trasparente nelle sue reali finalità. In questi termini il sottosegretario è stato informato di quello che accade a Roma e, come si è visto, non ha esitato a esprimere il suo dissenso.

È un tassello che si aggiunge agli altri, proprio mentre il relatore della legge non esclude il ricorso al voto di fiducia.

A questo punto è lecito domandarsi se il gioco vale la candela. Il provvedimento arriva, ormai è palese, nel momento sbagliato. Il caso Scajola e le inchieste sugli appalti rendono quanto meno inopportuno imporre proprio adesso un limite al diritto di cronaca e un freno obiettivo al lavoro dei magistrati. Gli abusi nel campo delle intercettazioni, che esistono e talvolta sono gravi, possono essere corretti senza creare una tale lacerazione nel paese e addirittura nel rapporto con il nostro maggiore alleato.

È chiaro che ormai la maggioranza è davanti a un bivio. Può insistere sulla via intrapresa, magari correggendo un po' il testo della legge. Ma dovrebbe mettere in conto uno scontro molto duro, non tanto con l'opposizione parlamentare, quanto con l'opinione pubblica rappresentata dai media. E non c'è dubbio che la critica americana rafforza il «fronte del no»: anche all'interno del Pdl, dove è sicuro che il presidente della Camera, i cui margini di manovra sono peraltro esigui, rimane contrario al provvedimento nella sua forma attuale. Del resto, ignorare la posizione di Washington, magari per un riflesso nazionalistico, sarebbe poco lungimirante: finirebbe per rendere più evidente la distanza tra l'amministrazione Obama e l'attuale leadership italiana.

La seconda strada consiste nel ritiro della legge. O nella sua radicale trasformazione, in modo da cancellare ogni minaccia nei confronti di magistrati e giornalisti. Sarebbe una piccola sconfitta dell'esecutivo, ma potrebbe evitarne una più dolorosa. Non solo, sarebbe un gesto adeguato al clima del momento. L'asprezza della crisi consiglia un concorso dell'opposizione a sostegno della manovra di Tremonti. Accantonare o modificare la legge sulle intercettazioni, aiuterebbe senza dubbio un confronto più sereno.
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