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di Stefano Folli

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Il Punto
Stefano Folli nasce a Roma da famiglia di origini milanesi. Laureato in lettere, muove i primi passi nel giornalismo alla "Voce Repubblicana", l'organo storico del Pri allora guidato da Ugo La Malfa. Nel 1981 viene nominato direttore responsabile della nuova edizione della "Voce". Collaboratore di Giovanni Spadolini, Folli ne è il portavoce a Palazzo Chigi durante l'esperienza del primo governo a guida laica, fra il 1981 e '82. Nel 1989 passa al "Tempo" come caporedattore politico. Dalla fine del '90 è al "Corriere della Sera", come notista politico e, più tardi, editorialista, fino ad assumerne la direzione tra il 2003 e il 2004. Dal 2005 è editorialista de "Il Sole 24 Ore". Folli ha anche fondato e diretto la rivista di affari internazionali "Nuovo Occidente". Ha vinto alcuni premi di giornalismo, tra i quali il St. Vincent, il premio Ischia e il Fregene.
stefano.folli@ilsole24ore.com

Il 2 giugno, la coesione nazionale e il premier sotto attacco
02 giugnoo 2009
Il 2 giugno porta con sé il nuovo appello di Giorgio Napolitano alla coesione nazionale. E molti ricordano che poco più di un mese fa, il 25 aprile, un analogo invito era stato accolto dalle forze politiche con inedito slancio. Allora, in particolare, si parlò di ritrovata sintonia tra il capo dello Stato e Berlusconi. Sembrava davvero che un minimo di coesione, almeno sui valori di fondo della Repubblica e sul rispetto dovuto alle istituzioni, fosse possibile.
Sono passate appena cinque settimane, ma pare un secolo. Le parole di Napolitano cadono oggi nel mezzo di un dibattito politico greve e mediocre. Mai così in basso negli ultimi anni. Ma non ci sono innocenti e nessuno può atteggiarsi a vittima. Quel che è peggio, si avverte un appannamento della qualità democratica: per cui se il presidente della Repubblica invoca l'unità del paese sulle questioni serie, si capisce che c'è qualcosa di drammatico nell'aria. Questa volta l'appello è soprattutto un modo per salvaguardare la compattezza delle istituzioni e chiedere alle maggiori forze politiche di assumersi le loro responsabilità.

Disgrazia vule che il clima non sia più quello del 25 aprile. È come se fosse iniziata una lugubre resa dei conti che potrebbe durare un tempo molto lungo: nessuno è in grado di saperlo. E mentre l'immagine e dunque la forza del presidente del Consiglio subiscono un lento processo di logoramento - perchè di questo si tratta - il tessuto civile del paese si consuma.
Ieri Berlusconi ha subito un nuovo attacco dalla stampa europea. L'articolo del «Times» di Londra è brutale oltre che offensivo. La descrizione del «clown» (anzi, del «clown sciovinista») a cui è caduta la maschera rivela quanto pesino i pregiudizi verso l'Italia berlusconiana. L'attacco non è il primo della serie ed è lecito dubitare che sia l'ultimo. La stampa inglese colpisce da un po' di tempo gli spalti di Palazzo Grazioli con un bombardamento spietato. E dietro i maestri anglosassoni si muovono altre testate europee che non hanno mai nascosto l'avversione al personaggio Berlusconi.

È uno stillicidio che nasce dall'errore iniziale compiuto dal premier. Invece di rispondere con un minimo di umiltà alle dieci domande di «Repubblica», e soprattutto ai legittimi interrogativi dell'opinione pubblica, ci si è arenati nel braccio di ferro con i giornali «ostili». Un atteggiamento incomprensibile all'estero, tale da alimentare la campagna che ora si è scatenata.
Al momento siamo in una sorta di vicolo cieco. Berlusconi risponde con il suo tono di sempre: «C'è l'Italia dei giornali e quella reale, gli italiani sono con me». E può anche darsi che i titoli sprezzanti della stampa straniera producano l'effetto opposto a quello desiderato: nel senso che potrebbero accrescere il consenso immediato a Berlusconi, in virtù di un riflesso, questo sì, «sciovinistico». Ma alla lunga la lacerazione sarebbe insostenibile. Quel che è certo, Berlusconi appare incerto e isolato. Il 15, dopo le elezioni, andrà negli Usa e incontrerà Obama. Sarà un colloquio delicato, perché il premier ha perso il rapporto speciale che aveva con Bush. Alcune delle sue difficoltà sulla scena internazionale derivano dal fatto che con il nuovo presidente la relazione è sfilacciata, ricca di diffidenze da parte americana. E Berlusconi può forse reggere la guerriglia mediatica sul piano interno, ma ha bisogno di spalle coperte presso il principale alleato. Con Bush le aveva, con Obama sembra di no.
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