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Il Punto
Quando si toccano le televisioni, riemerge il conflitto di interessi
2 dicembre 2008
Si possono trovare varie ragioni per l'aumento dell'Iva a carico delle pay-tv (tutte le pay-tv, benché la norma riguardi Sky in misura di gran lunga prevalente). La principale si riassume così: «Siamo in una crisi profonda, è tempo di sacrifici per tutti». Questi motivi possono essere più o meno convincenti. Ma sono di fatto svalutati da una considerazione di fondo: ogni volta che il governo Berlusconi si avvicina alle televisioni, o in generale ai mezzi di comunicazione di massa, riemerge dalla palude il drago del conflitto d'interessi. Un drago dormiente che si risveglia di tanto in tanto.

È inutile che la maggioranza si scandalizzi e denunci come «strumentale» le critiche della minoranza. Non c'è niente da fare. Se Silvio Berlusconi, che è tuttora proprietario di un impero televisivo, mette mano al regime fiscale del mondo delle comunicazioni, il minimo che egli possa attendersi è di essere attaccato dalle opposizioni. Se le decisioni del suo governo vanno a incidere sui bilanci di un'azienda concorrente di Mediaset, è destino che gli venga rinfacciato l'eterno conflitto di interessi.

Questo non significa, ovviamente, che il presidente del Consiglio non abbia il diritto di fare le sue scelte di politica economica. O che il ministro dell'Economia non possa stabilire come fare cassa, se ritiene che esistano delle storture nel sistema fiscale. Significa però che a Palazzo Chigi devono tenersi pronti a ricevere migliaia di "e-mail" di protesta e a vedere i terminali "fax" intasati dai cittadini che la campagna di Murdoch ha mobilitato in breve tempo.

Il che lascia affiorare l'interrogativo politico: il gioco vale la candela? Vale la pena di scatenare questo putiferio e di risvegliare il fantasma del conflitto d'interessi? Vale la pena di esporsi a una tempesta mediatica di tali proporzioni? Senza dubbio Berlusconi e i suoi collaboratori se lo stanno chiedendo. Può darsi che decidano di andare avanti ad ogni costo, convinti delle loro ragioni. Ma non è difficile prevedere che in Parlamento la norma contestata sarà edulcorata o cancellata. Non sarebbe la prima volta. E diversi esponenti del centro-destra – poco convinti della bontà dell'operazione – lo hanno già fatto capire: «Le Camere sono sovrane».

Certo, le Camere sono sovrane. E la materia in esame sembra l'ideale per consentire qualche distinguo nella maggioranza, specie da parte di An. Ma se l'intenzione recondita è quella di avviare la marcia indietro, il bilancio del «caso Sky» non sarà positivo per il governo Berlusconi. Si sarà offerta all'opinione pubblica una dimostrazione di incertezza e in fondo di debolezza. E si sarà regalata una vittoria a buon mercato a un centro-sinistra in crisi di idee.

È vero infatti – lo abbiamo appena detto – che il conflitto di interessi irrisolto condanna il premier a essere criticato ogni volta che tocca il tasto delle televisioni. Ma è altrettanto vero che Veltroni e gli altri capi della sinistra hanno scarsi titoli per riproporre oggi, alla fine del 2008, il tema degli interessi del presidente del Consiglio. Hanno avuto diverse opportunità, nel corso degli anni, per affrontare la questione in via legislativa. Da ultimo nel biennio 2006-2008. Non si è mai visto alcun risultato e ciò spiega perché l'argomento è, per così dire, passato di moda. Non più evocato dalla stessa sinistra, salvo Di Pietro. Che infatti oggi è il più vigoroso nell'innalzare di nuovo il vessillo sull'onda della vicenda Sky. Il più vigoroso e in un certo senso il più credibile.


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