di Stefano Folli

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Il Punto
L'assenteismo finale toglie credibilità all'opposizione
3 Ottobre 2009
La vicenda parlamentare dello scudo fiscale si è chiusa con una sconfitta politica dell'opposizione non-dipietrista, vale a dire il Partito democratico e l'Udc: l'ossatura di quel fronte moderato che ambisce, in ruoli diversi, a interpretare l'Italia del ceto medio, ossia l'Italia profonda.

Si può pensare quello che si vuole dello scudo, che in effetti presenta profili discutibili sotto l'aspetto dell'etica o del senso civico. Tuttavia, in termini politici, la maggioranza ha seguito una linea chiara e vincente: la legge Tremonti è passata senza dissensi in nessun settore del centro-destra. È vero che al momento del voto finale mancavano oltre trenta deputati del Pdl, ma sono assenze che non derivano da contrarietà verso il provvedimento e il successo del governo ha fatto sì che siano state dimenticate in fretta.

Viceversa, l'opposizione non poteva permettersi l'assenteismo. Il fatto che 22 deputati del Pd e 6 dell'Udc non fossero in aula, mentre il decreto legge era approvato con appena una ventina di voti di scarto, rappresenta un grave incidente. Si dirà che soprattutto nei ranghi del Pd non tutti erano compatti contro lo scudo, nonostante la posizione ufficiale più volte espressa dal vertice. Si dirà anche che Pd e Udc hanno fatto in modo di distinguere la loro linea da quella di Di Pietro, urlata nelle piazze e – come sappiamo – non immune da una certa dose di compiaciuta demagogia, anche nella mancanza di rispetto verso il capo dello Stato. Tutto questo è logico, ma non si concilia con l'assenteismo. Il risultato ottenuto è infatti disastroso.

Da un lato, la maggioranza di governo ha dato voce a quel numero, tutt'altro che esiguo, di italiani favorevoli al condono fiscale per i capitali all'estero. Dall'altro, Di Pietro si è fatto paladino di tutti i contrari e gli intransigenti. La sua posizione è speculare a quella del centro-destra, ma altrettanto netta e riconoscibile dall'opinione pubblica. Difatti il leader dell'Italia dei valori esce vincente anche da questa partita: ancora una volta ha tagliato l'erba sotto i piedi del Partito democratico e si è proposto nelle vesti di Vero Oppositore.

Non sarebbe accaduto se i parlamentari del Pd e anche dell'Udc fossero andati tutti a votare (salvo i malati o gli assenti giustificati), coerenti con la loro linea. Quella linea distinta e distante da Di Pietro che Casini meglio di altri ha definito nel suo intervento in aula. Forse non sarebbe stato sufficiente per ribaltare l'esito della votazione (o forse sì). In ogni caso non avremmo assistito a una sorta di suicidio, particolarmente grave per un Partito democratico alla vigilia del suo congresso e tuttora alla ricerca di una precisa identità.

Era difficile immaginare una «terza via» fra Tremonti e Di Pietro su una materia delicata come lo scudo fiscale. Ma era compito dell'opposizione moderata provarci. Soprattutto per non lasciare all'Italia dei valori, come sta accadendo, tutto lo spazio mediatico. Dire che il Pd non abbia una linea nitida sui grandi temi è ingiusto e non veritiero. Tuttavia questa è l'impressione che spesso arriva ai cittadini, come conseguenza del lungo travaglio pre-congressuale.

Ne deriva che Di Pietro si rafforza sottraendo consensi proprio al Pd. Cosa che sicuramente è gradita a Berlusconi, il quale ha nell'ex magistrato il suo nemico preferito. Quello che gli garantisce quel clima di scontro permanente in cui il premier si trova benissimo.


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