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di Stefano Folli

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Il Punto
Ma le fratture della politica disperdono la forza del voto
3 dicembre 2009
Il sondaggio Ipsos-Il Sole 24 Ore commentato da Roberto D'Alimonte spiega perché, se si votasse oggi, il centrodestra tornerebbe a vincere, nella perdurante debolezza dell'opposizione. È una fotografia piuttosto chiara di un paese complicato. Proprio per questo l'istantanea pone una serie di interrogativi.

C'è una maggioranza esplicita nell'attuale parlamento ed essa rispecchia, a grandi linee, il consenso elettorale di cui continua a godere l'asse tra Pdl e Lega. Ciò nonostante, le cronache politiche parlano di una rissa inesauribile ai vertici dello schieramento maggioritario. Un grave malessere che incide inevitabilmente sulla qualità dell'azione di governo. E non parliamo delle famose «riforme condivise», più inafferrabili dell'Araba Fenice.

La frattura di fatto insanabile tra Berlusconi e Fini, i due soci fondatori del Popolo della Libertà, ha qualcosa di inquietante. Dimostra che il nostro bipolarismo – di cui la nascita del Pdl doveva essere il suggello definitivo – non regge davanti a un «fuori onda», cioè a un microfono lasciato aperto che ha raccolto toni e umori poco ortodossi del presidente della Camera. Poco ortodossi, ma in fondo tutt'altro che clamorosi o sorprendenti per chi ha letto i giornali nell'ultimo anno.

Come si può ben capire, il «fuori onda» è un pretesto: è la pistola di Sarajevo che scatena le tensioni represse nel centrodestra. E che conferma l'incompatibilità tra la visione plebiscitaria del potere, propria di Berlusconi, e quella politico-istituzionale del presidente della Camera. Due anime, si dice da tempo. Ma due anime (e due linee) pressoché inconciliabili. Si ripete nella sostanza lo scenario che, prima delle elezioni del 2008, portò alla rottura con Casini. Anche allora l'accusa fu di tradimento e poi si disse che la fuoriuscita dei centristi dell'Udc avrebbe finalmente trasformato la maggioranza in un meccanismo ben oliato.
Adesso Berlusconi parla di Umberto Bossi come del solo alleato di cui può fidarsi. Il che autorizza il capo della Lega ad affermare: «Berlusconi lo controlliamo noi, altrimenti va a casa».

D'altra parte, la frattura con Fini, accelerata da alcuni errori politici e psicologici del presidente della Camera, rivela che il Pdl è tutto tranne che il prodotto di una fusione politica ben riuscita. È tuttora il partito di Berlusconi e di nessun altro. Con la Lega come unico alleato, potente e condizionante. Nel tempo i dissidenti tendono a essere espulsi, da Casini a Fini, in un processo di semplificazione piramidale che da un lato conferma, sì, il potere del presidente del Consiglio, ma dall'altro rende la Lega padrona del gioco, soprattutto nel Nord. Anche sul terreno elettorale.

Il problema è che questa realtà è insoddisfacente quanto immodificabile. Insoddisfacente perché condanna il paese a un disagio permanente, a una semi-paralisi che urta con la condizione economica e sociale che è sotto gli occhi di tutti. Immodificabile perché non esistono sbocchi a breve termine. «Sfiduciare» il presidente della Camera non è possibile; espellerlo dal partito è poco pratico (avrebbe effetti disastrosi sulla stabilità dell'esecutivo); pretendere elezioni anticipate per regolare i conti con il co-fondatore del Pdl sarebbe surreale.

C'è dunque qualcosa di paradossale in questa situazione. Una maggioranza, che il sondaggio Ipsos ci conferma tuttora ampia, si consuma in un cortocircuito quotidiano anziché mettere la sua forza al servizio degli italiani. Quel che è peggio, rischiamo di andare incontro a un periodo ancora lungo di polemiche inconcludenti. Di «fuori onda», veri o metaforici, se ne possono trovare uno alla settimana. Ma poi? In mancanza di un autentico chiarimento tra Berlusconi e Fini, forse impossibile, ci si condanna a un lento logoramento. Che non riguarda più solo le persone, ma tocca gli assetti istituzionali.

Per ora gli italiani sembrano accorgersene poco e le cifre elettorali non cambiano in misura evidente, grazie alla popolarità di Berlusconi e soprattutto all'inconsistenza del centrosinistra. Ma la storia insegna che le contraddizioni prima o poi vengono sanate, talvolta in modo drammatico.


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3 dicembre 2009
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