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di Stefano Folli

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Il Punto
Sul decreto la destra chiede, ma Prodi non può concedere troppo
6 novembre 2007
I temi della sicurezza sono il terreno privilegiato per sperimentare la concordia nazionale cara al presidente della Repubblica. Nei fatti, tuttavia, l'operazione è difficile e provoca una serie di contraccolpi a destra come a sinistra. Lo scenario politico potrebbe cambiare, e non poco. Vediamo perché. Dopo la tragedia di Tor di Quinto, la Casa delle libertà vuole negoziare e soprattutto non vuole lasciare campo libero al governo. Così Berlusconi ha approfittato dell'occasione per riunire i vari segmenti del centro-destra. Non è un caso se al vertice di ieri erano presenti non solo Fini, Casini e Maroni, ma anche gli altri alleati: i capi del Pri e della Dc delle Autonomie, mentre la Mussolini era stata invitata.
Alla luce di questo si capisce che il "no" al decreto sulle espulsioni è prima di tutto tattico. È un tentativo di porre condizioni a Prodi, proponendo modifiche a un provvedimento governativo «del tutto insoddisfacente», come dice Fini. In fondo il premier non ha mai chiesto il consenso dell'opposizione. Anzi, è stato sprezzante: «Facciano quello che vogliono». La risposta è: cambiamo qualcosa del decreto. Magari poco, ma abbastanza per mostrare all'elettorato che la Casa delle libertà sa farsi valere.
Quello che salta all'occhio è che sull'ordine pubblico il centro-destra ha ritrovato un'identità, persino una parvenza di unità. È la prima volta dopo molto tempo che Casini torna a sedersi attorno a un tavolo con i vecchi alleati e la cosa non deve stupire: sulle misure anti-criminalità non c'è spazio per un'opposizione "diversa". Di certo qualcosa sta cambiando nel centro-destra e bisogna vedere come Berlusconi deciderà di usare la ritrovata unità. Date le circostanze, è un prezioso patrimonio. È chiaro che se il governo Prodi dovesse cadere sulla legge finanziaria, il leader della Casa delle libertà avrà gioco facile a parlare a nome di tutta l'opposizione. Viceversa, se l'esecutivo supererà l'ostacolo, allora l'unità del centro-destra rischierà di nuovo di andare in pezzi.
Nel merito, quali possibilità ci sono che il decreto cambi? Piero Fassino ha detto che le modifiche sono possibili. E si capisce che nella logica del Partito democratico, deciso a riconquistare l'opinione moderata, il dialogo con la destra è opportuno, se non necessario. Anche perché sarebbe difficile respingere tutte le richieste della Casa delle libertà. Tanto più se le modifiche fossero minime, come lascia capire Casini. Sotto questo aspetto, sia il Pd veltroniano sia la Casa delle libertà (esclusa forse la componente leghista) avrebbero interesse a trovare un punto di convergenza. Ma è difficile credere che Prodi voglia spingersi fino a perdere il voto dell'estrema sinistra, mettendosi nelle mani dell'opposizione. La «logica emergenziale» piace molto poco a sinistra di Veltroni, l'ispiratore del decreto. Del resto, piace poco anche ai radicali attenti ai diritti civili (vedi Emma Bonino).
È significativo in ogni caso che l'estrema sinistra per ora sia prudente. Al punto che il suo padre nobile, il presidente della Camera Bertinotti, pronuncia una frase rivelatrice: la sinistra «dovrebbe fare autocritica» per aver «sottovalutato il carattere devastante della violenza». Non è la prima volta che Bertinotti si esprime così, ma è importante che si ripeta nel momento in cui afferma: «il governo deve continuare». In altri termini, sul decreto la sinistra radicale è chiamata a compiere un altro sacrificio e a sostenere Prodi. Purché le concessioni a Berlusconi non siano eccessive. Ma il sentiero è stretto..


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