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di Stefano Folli

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Il Punto
Stefano Folli nasce a Roma da famiglia di origini milanesi. Laureato in lettere, muove i primi passi nel giornalismo alla "Voce Repubblicana", l'organo storico del Pri allora guidato da Ugo La Malfa. Nel 1981 viene nominato direttore responsabile della nuova edizione della "Voce". Collaboratore di Giovanni Spadolini, Folli ne è il portavoce a Palazzo Chigi durante l'esperienza del primo governo a guida laica, fra il 1981 e '82. Nel 1989 passa al "Tempo" come caporedattore politico. Dalla fine del '90 è al "Corriere della Sera", come notista politico e, più tardi, editorialista, fino ad assumerne la direzione tra il 2003 e il 2004. Dal 2005 è editorialista de "Il Sole 24 Ore". Folli ha anche fondato e diretto la rivista di affari internazionali "Nuovo Occidente". Ha vinto alcuni premi di giornalismo, tra i quali il St. Vincent, il premio Ischia e il Fregene.
stefano.folli@ilsole24ore.com

Quei 17 franchi tiratori che hanno dato la vittoria politica al governo
12 giugno 2009
I franchi tiratori di solito agiscono nel segreto dell'urna contro la maggioranza di cui fanno parte e a favore dell'opposizione. Ieri alla Camera è accaduto il contrario. Quei diciassette franchi tiratori che sono andati in soccorso al governo nel voto finale sulle intercettazioni rappresentano un caso singolare. Si pensava, con qualche ingenuità, all'ipotesi opposta: che la segretezza della votazione aiutasse i dissensi e i distinguo all'interno della coalizione su alcuni aspetti francamente controversi delle nuove norme. Qualcuno arrivava a immaginare che nel centrodestra si fosse accumulata una frustrazione senza precedenti, resa ancora più profonda dalle proteste di magistrati e giornalisti contro la nuova legge; e che tale frustrazione stesse aspettando solo il momento giusto per emergere, sollecitata dalla campagna dell'opposizione contro le norme "liberticide".

Ma occorrerà attendere un'altra occasione. La lettura dello stato parlamentare della maggioranza si è rivelata sbagliata. Per la semplice ragione che le parole di fuoco pronunciate ieri in aula non solo dai deputati dell'Italia dei Valori, ma dai rappresentanti dello stesso Partito Democratico (mentre l'Udc ha usato toni diversi), richiedevano che poi nell'urna le tre opposizioni si mostrassero compatte, mentre doveva essere la maggioranza a perdere qualche pezzo.

Invece quei diciassette franchi tiratori al contrario hanno regalato a Berlusconi e al ministro Alfano una vittoria persino insperata. Del resto, è più che comprensibile che il governo avesse qualche dubbio sull'esito del voto. Proprio la presenza in aula del presidente del Consiglio - evento rarissimo - testimoniava di un certo grado di incertezza. Il premier seduto al banco del governo, con la sequenza dei ministri quasi al completo, valeva più di un monito. Egli stesso era un messaggio piuttosto chiaro, il modo più convincente per far sapere alla maggioranza che sulle intercettazioni non si scherza. Ieri le battute di spirito Berlusconi le aveva riservate tutte all'assemblea della Confartigianato. In aula a Montecitorio si faceva sul serio.

E così è stato. Piaccia o no, la maggioranza ha dato una prova di coesione e di forza in un passaggio tutt'altro che facile. Per cui si capisce meglio il senso di certe mosse del premier. Ad esempio, aver voluto chiarire subito il rapporto con Bossi all'indomani delle elezioni di sabato e domenica. Chiarimento ben riuscito, se è vero che ieri la Lega non ha esitato a schierarsi a fianco di Berlusconi con argomenti ricalcati sulle sue tesi. Eppure in un recente passato la Lega non aveva mancato di prendere le distanze dal maggiore alleato sulle questioni giudiziarie. Con ogni evidenza, il nuovo patto per ora funziona.

L'opposizione resta lì con i suoi cartelli di protesta, con gli striscioni che gridano "vergogna", con l'idea che ancora una volta – complice l'assenza giustificata di Franceschini – la leadership effettiva del centrosinistra sia stata esercitata dal partito di Di Pietro. Ma la testimonianza civile contro la legge "liberticida" e contro l'ennesimo ricorso alla scorciatoia del voto di fiducia, che ammazza il dibattito e toglie ruolo ai parlamentari, avrebbe avuto ben altra efficacia se non ci fossero stati quei diciassette. Hanno fatto la differenza, permettendo ad Alfano di ribadire che «le nostre tesi piacciono anche a settori dell'opposizione». Giudizio legittimo e non privo di paradossi. Comunque una vittoria per il governo.
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11 giungo 2009
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