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di Stefano Folli

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Il Punto
Ma il percorso è lungo, non basta un colpo mediatico
12 settembre 2008
Se bastasse la passerella di ieri per considerare cosa fatta il federalismo fiscale in Italia, saremmo tutti contenti. Ma non è così. In buona sostanza, il consiglio dei ministri ha rappresentato soprattutto un momento «mediatico». Utile per superare qualche screzio nella maggioranza, consentire alla Lega di celebrare la sua giornata «padana», offrire agli italiani lo spettacolo di un centrodestra che marcia unito anche sul progetto più arduo della legislatura. Se l'obiettivo è quello di lanciare un segnale politico, benissimo. Purchè sia chiaro che la montagna del federalismo fiscale è ancora tutta da scalare, mentre le contraddizioni da risolvere restano assai numerose.

Del resto, non un esponente dell'opposizione, bensì una figura di primo piano del Pdl come il governatore del Veneto Galan, ha sottolineato che le varie bozze della legge sono andate peggiorando, una dietro l'altra. Senza contare il fatto, aggiunge il governatore, che «su tutte le bozze non c'è una sola cifra...». E non c'è, è ovvio, per la ragione che la maggioranza non è pronta a mettere in fila i numeri e non ha ancora idea di quanto possa costare la riforma o di quale debba essere l'equilibrio finale fra regioni ricche e regioni povere.

Quello che si sa è che le Province sono destinate a restare, nonostante le promesse elettorali del premier che ne aveva annunciato la progressiva abolizione. Ma è noto che la Lega è sempre stata affezionata all'istituto provinciale, tassello non trascurabile del suo sistema di potere nel Nord. Perciò nessuna cancellazione. E nessuna cifra, per ora.

Basterebbe questo per capire che ieri non è successo quasi niente. Il governo si è limitato a registrare un'intesa di massima e a confermare la propria strategia. Degli aspetti concreti si parlerà più in là. E a quel punto, c'è da esserne certi, il quadretto armonioso presentato da Berlusconi e Bossi a giornali e tv verrà incrinato. Non c'è da stupirsi. Il federalismo è una riforma storica e ci sono troppi interrogativi ancora in attesa di risposta: il percorso sarà lungo e nessun colpo mediatico potrà sostituire l'esigenza di una complessa mediazione.

In primo luogo andrà valutato il grado di coinvolgimento dell'opposizione. Coinvolgimento che Bossi giudica essenziale e che a Berlusconi sembra interessare di meno, forse perché teme che gli vengano avanzate richieste da soddisfare su altri tavoli: magari quello in cui si discute la riforma della giustizia.

Senza dubbio riproporre adesso il presidenzialismo non aiuta l'ipotetico dialogo con il centrosinistra. Colpisce che il coordinatore di Forza Italia, Verdini, abbia evocato proprio ieri l'ipotesi di un Capo dello Stato eletto a suffragio diretto, sul modello francese, ed espressione della «maggioranza del Paese», cioè appartenente all'area del centrodestra. Senza dubbio questo scenario esprime il punto di vista più segreto di Berlusconi. Ma c'è da dubitare (a dir poco) che un simile progetto ammesso che sia tale possa essere accettato dall'opposizione, specie nel momento in cui l'agenda politica è già intasata dal federalismo fiscale.

Quel che è certo, si conferma il dinamismo del presidente del Consiglio. Al di là degli aspetti mediatici della giornata, è evidente che Palazzo Chigi intende alimentare ogni giorno l'immagine del governo operoso e costruttivo. Benché sul federalismo sia la Lega a dettare il ritmo della musica.


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