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di Stefano Folli

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Il Punto
È la fine (ingloriosa) di un'epoca
25 gennaio 2008
Ieri sera non è solo caduto un Governo,uno dei tanti.È finita un'epoca. L'uscita di scena di Romano Prodi segna la conclusione di una fase storica. Era cominciata nel '96, con il primo Ulivo. Il professore di Bologna era l'uomo nuovo, allievo e amico di Nino Andreatta. Un innovatore: il centro-sinistra era a pezzi dopo la batosta subita da Berlusconi nel '94 e Prodi lo ricostruisce delineando per la prima volta l'opportunità e la convenienza di andare oltre i vecchi partiti. È l'intuizione su cui la sinistra moderata italiana ha vissuto per dieci anni, attraverso alterne vicende, fino all'avvento del Partito democratico.
Tuttavia la parabola di Prodi come uomo di Governo è assai travagliata. La prima volta resta a Palazzo Chigi poco più di due anni, fino all'autunno del '98. Affiancato da un ministro dell'Economia che ha il prestigio di Carlo Azeglio Ciampi, porta l'Italia nell'euro. Poi viene travolto da una congiura di palazzo.
Ora l'esperienza è durata venti mesi ed è assai meno memorabile. Mancano le risorse, mancano i voti e viene meno qualsiasi visione riformatrice di grande respiro. Alla fine la caduta non si deve a un complotto politico, bensì allo sfilacciamento di una coalizione troppo improbabile per riuscire a governare. Prodi ha fatto quel che poteva lungo una strada sempre più impervia, a costo di un'impopolarità via via più estesa e alla fine si è reso inviso ai suoi stessi alleati. Del resto, è difficile chiedere ai partiti di perdere consensi, soprattutto quando c'è di mezzo una forza con le ambizioni e le impazienze del Pd veltroniano. Certo, la vicenda è emblematica. La fine dell'innovatore Prodi è cominciata con la nascita di quel Partito democratico che avrebbe dovuto essere la sua creatura. Viceversa, si è subito tramutato in uno straordinario fattore di instabilità per la coalizione di centro-sinistra. Quel che più colpisce, il Prodi dinamico del '96 si è tramutato nel Prodi conservatore del 2007.
Un po' troppo propenso ai compromessi, paladino dei micro- partiti suoi alleati privilegiati, sospettoso di tutto, deciso a durare comunque: anche quando «durare» diventava sinonimo di «galleggiare».
Ma forse il suo destino era segnato in ogni caso. In apparenza il Governo è scivolato sui casi giudiziari di Mastella, ma nessuno dubita che la causa del decesso risieda almeno in parte altrove. E cioè nel negoziato di Veltroni con Berlusconi sulla legge elettorale, in quel tentativo di riformare il sistema facendo fuori i partitini mentre costoro avevano in mano le sorti dell'Esecutivo.
Comunque sia, il presidente del Consiglio ha ritrovato il piglio e il coraggio nel passo d'addio. L'idea di cadere a viso aperto a Palazzo Madama, respingendo i consigli istituzionali e politici di chi lo voleva prudente fino alla sottomissione, gli fa onore. Può darsi che la scelta non fosse dettata solo da scrupolo costituzionale, ma anche dal desiderio di fare un dispetto ai suoi "alleati", gli stessi che non vedevano l'ora di metterlo da parte. In ogni caso, il premier merita rispetto. Nell'uscita di scena ha riguadagnato forse un po' di quella popolarità presso gli italiani che in venti mesi di Governo aveva dissipato.
Ora è facile speculare sui rancori e le rivalse destinati, si presume, a sballottare il Partito democratico. Cosa faranno Prodi e i prodiani? Dove cominceranno a consumare le loro vendette contro i vertici del Pd? Interrogativi legittimi, ma ci sarà tempo per cercare una risposta. Per il momento è più interessante restare ai fatti. E i fatti dicono che nelle ultime ore, al Senato, si è superata la soglia del grottesco. Dei tre senatori dell'Udeur,uno (Barbato) ha aggredito l'altro (Cusumano) in modo selvaggio perché aveva tradito la consegna votando a favore di Prodi. Il terzo, cioè il leader Mastella, si ispirava a Neruda e alla sua malinconia del vivere nel tentativo, invero sconcertante, di volare alto. Bisogna ammettere che, in tale contesto, la trasparenza istituzionale di Prodi ha riscattato una pagina penosa di storia parlamentare.
Ora è chiaro che il professore lascia il campo. Per lui non c'è all'orizzonte un'altra possibilità di formare il Governo. La sfiducia lo esclude dal gioco, non meno della fretta dei suoi "amici"nel voltare pagina. Ma il compito di Giorgio Napolitano si presenta complesso come mai negli ultimi anni.
La legislatura è stata ferita in modo forse mortale. Ma prima di tornare alle elezioni il capo dello Stato dovrà fare ogni sforzo per capire se è possibile percorrere ancora un tratto di strada. Parlare di riforme costituzionali sembra assai velleitario, date le circostanze, ma all'orizzonte c'è un referendum per modificare la legge elettorale. Quindi è tutt'altro che stravagante verificare se le forze politiche sono disposte a sostenere per un breve tratto e in forma "bipartisan" un Governo di tregua, senza profilo politico, la cui unica ragion d'essere sarebbe proprio il nodo della legge elettorale. Attraverso un'iniziativa parlamentare, se c'è la possibilità,oppure lasciando svolgere il referendum fra tre mesi. Del resto, il faticoso dialogo Veltroni-Berluasconi non mirava a questo scopo?
Il problema è che il quadro ora si è molto logorato, anche per la caparbietà di Prodi. E Berlusconi è ovviamente tentato di fare l'"en plein". Tornare alle urne con l'attuale legge elettorale metterebbe in grave difficoltà il Partito democratico veltroniano, riportando l'ex Casa delle libertàa Palazzo Chigi sull'onda di un successo politico, e forse anche elettorale, senza precedenti. Vedremo. La partita è appena cominciata. Ieri sera nel centro-destra era il momento dei fuochi d'artificio. Da oggi non è escluso che si ascoltino toni diversi.
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