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Il Punto
Una prova di democrazia ma le scelte non si vedono
26 ottobre 2008
È stata, senza dubbio, una pagina di democrazia. Come sempre quando la gente va in piazza in modo ordinato e civile, con le sue bandiere e le sue speranze. Non c'erano «facinorosi» ieri al Circo Massimo, per ripetere il termine di dubbio gusto usato dal presidente del Consiglio a proposito degli studenti contestatori. C'era una massa imponente e seria che merita rispetto. E in ogni caso si è trattato di un segnale esplicito di dissenso verso il governo in carica. Berlusconi sbaglierebbe se si limitasse a fare spallucce.
Adesso è inutile addentrarsi nel solito gioco volto a stabilire «quanti erano veramente». Sappiamo che l'area in questione contiene fra le 300 e le 400mila persone. Che non sono poche. Il resto («siamo due milioni, due milioni e mezzo») appartiene alla propaganda, materia in cui sia il centrosinistra sia il centrodestra sono maestri: come sa chi ricorda le cifre ufficiose sulla piazza berlusconiana del 2006.
Il Partito Democratico può dunque essere soddisfatto. Il colpo d'occhio ieri pomeriggio era notevole. Gli ammiccamenti a Obama non potevano mancare, con il palchetto per Veltroni issato in mezzo alla folla. Ma, in fondo, perché no? Militanti e simpatizzanti cercavano un nuovo slancio, le ragioni per provare di nuovo qualche passione e dimenticare le frustrazioni degli ultimi mesi. Sono stati accontentati. Il discorso di Veltroni, orgoglioso e combattivo, era quanto di meglio per rincuorare un elettorato deluso e desideroso di sentirsi al centro della scena.
Naturalmente bisogna domandarsi se il grande raduno romano è servito a risolvere le contraddizioni del Pd e a restituire un'identità all'opposizione. Qui la risposta è più sfumata e anzi alquanto scettica. Sia Veltroni sia D'Alema hanno parlato della giornata di ieri come di un punto di svolta che segna la fine della luna di miele fra Berlusconi e l'Italia reale. Può darsi. Ma, se così fosse, vorrebbe dire che in piazza è scesa anche una discreta percentuale di ex sostenitori del premier. Non risulta che sia vero. È evidente che prima o poi il lungo idillio del presidente del Consiglio con l'opinione pubblica terminerà, tuttavia è poco probabile che ciò avvenga in conseguenza di una manifestazione del Pd.
Secondo punto. I dirigenti democratici sostengono che da ieri è ripreso il rapporto fra l'opposizione e la società civile, il Paese produttivo. Quello che aveva voltato le spalle al centrosinistra nelle elezioni di aprile. Sarebbe un risultato eccellente, il segno che Veltroni ha colto nel segno. Ma non possiamo averne conferma al momento. Certo, il segretario ha insistito nel suo discorso sulle difficoltà delle imprese e sulla fatica di chi lavora, chiedendo per loro più attenzione dal Governo. Ma è ancora troppo poco per intravedere il filo di una proposta coerente, capace di spostare un consenso che finora ha privilegiato il centrodestra.
Quel «riformismo di massa», di cui ha parlato Veltroni per non essere tacciato di fare il populista, resta ancora un ideale, un traguardo suggestivo. Ma non si può dire che sia stato definito al Circo Massimo. Del resto, anche il gioco degli slogan rivela qualche incertezza. È sacrosanto affermare che «un'altra Italia è possibile». Ma è un errore dire che «l'Italia è migliore della destra che la governa». La destra è stata votata in aprile da una consistente maggioranza di italiani, gli stessi a cui il Pd guarda nello sforzo di tirarli dalla propria parte. Riproporre il vecchio schema secondo cui l'Italia di sinistra è comunque migliore - moralmente, antropologicamente - dell'Italia di destra non è il modo ideale per fare del proselitismo.
Non è D'Alema a ricordare in ogni occasione che l'opinione di centrodestra è maggioritaria nel Paese? E che compito della sinistra riformista è sgretolare, con pazienza e tenacia, questa realtà consolidata? Dalle parole di Veltroni sembra invece che la maggioranza degli italiani sia tenuta in ostaggio da un Governo Berlusconi capitato fra noi quasi per caso, come una piaga d'Egitto. Con la sua inciviltà e incultura, dimostrata dall'uso smodato e cinico delle televisioni.
Vero è che il segretario ha sottolineato più volte che «non viviamo in un regime». Così facendo ha evitato di spezzare gli ultimi fili di un confronto con la maggioranza che in ogni caso dovrà avere un futuro, se si vogliono approvare alcune delle riforme di cui l'Italia ha bisogno. Ma le contraddizioni restano. Una fra tutte: il rapporto con Di Pietro. Cancellato una settimana fa, riproposto ieri dai collaboratori del segretario. Con l'ex magistrato al Circo Massimo a raccogliere le firme per il suo referendum sul Lodo Alfano, iniziativa osteggiata dal Pd. I dubbi sulla futura relazione fra il partito veltroniano e il suo singolare "alleato" restano intatti. E ancora: l'estrema sinistra può riconoscersi in larga misura nelle parole di Veltroni, come nel clima di mobilitazione che si avvertiva in piazza. Dobbiamo attenderci nel prossimo futuro qualche novità in nome del fronte comune contro Berlusconi?
Non era facile, bisogna riconoscerlo, il compito di Veltroni. Non stupisce che abbia detto poco sui temi politici cruciali, come appunto le alleanze. E che abbia solleticato gli istinti anti-berlusconiani della platea senza però finire del tutto appiattito sulla linea dipietresca. Comunque sia, il Circo Massimo ha dato al segretario ciò che egli cercava: un bagno di folla, il ritorno allo spirito delle primarie, una rinnovata legittimazione. Durerà fino alle prossime elezioni europee. E da oggi si torna alla politica. Cioè alle scelte concrete in Parlamento.


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