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Il Punto
Stefano Folli nasce a Roma da famiglia di origini milanesi. Laureato in lettere, muove i primi passi nel giornalismo alla "Voce Repubblicana", l'organo storico del Pri allora guidato da Ugo La Malfa. Nel 1981 viene nominato direttore responsabile della nuova edizione della "Voce". Collaboratore di Giovanni Spadolini, Folli ne è il portavoce a Palazzo Chigi durante l'esperienza del primo governo a guida laica, fra il 1981 e '82. Nel 1989 passa al "Tempo" come caporedattore politico. Dalla fine del '90 è al "Corriere della Sera", come notista politico e, più tardi, editorialista, fino ad assumerne la direzione tra il 2003 e il 2004. Dal 2005 è editorialista de "Il Sole 24 Ore". Folli ha anche fondato e diretto la rivista di affari internazionali "Nuovo Occidente". Ha vinto alcuni premi di giornalismo, tra i quali il St. Vincent, il premio Ischia e il Fregene.
stefano.folli@ilsole24ore.com
Lo strappo con l'estrema sinistra può mutare il quadro politico
28 novembre 2007
La tenacia di Romano Prodi è ammirevole, ma la maggioranza è sempre più sfarinata. Sta di fatto che, spinto dalle circostanze, il presidente del Consiglio ha riscritto il «pacchetto Welfare» smentendo il lavoro della commissione Lavoro della Camera e tornando grosso modo al testo approvato dal Consiglio dei ministri il 23 luglio. Era il testo figlio degli accordi maturati fra imprenditori e sindacati, poi ratificato nel referendum di settembre. Rispetto a quel protocollo ci sono, è vero, alcune modifiche, ma non tali da stravolgerne il senso. Nel quale è racchiusa, tra l'altro, anche la riforma delle pensioni che dovrà impedire, dal primo gennaio 2008, il fatidico "scalone" Maroni.
Nel merito il «pacchetto» suscita - come è noto - riserve significative in molti ambienti politici ed economici. Ma dal punto di vista politico il dato è che il governo riesce ancora una volta a sopravvivere. Tuttavia per riuscirci ha fatto ricorso al voto di fiducia, nonostante l'ampia maggioranza numerica a Montecitorio. E la fiducia serve non solo a nascondere le fratture nella maggioranza, quanto a ingabbiare l'estrema sinistra, obbligandola a esprimere un consenso che equivale a un sacrificio politico.
Ne deriva che la stabilità di Prodi ha un prezzo. Non è vero che la soluzione trovata «accontenta tutti», come dice il premier per farsi coraggio. È proprio il contrario. Lo "strappo" con la sinistra comunista segna una svolta che può avere gravi effetti nel giro di qualche settimana. Rifondazione è un partito ferito, incerto sul da farsi (al di là del doveroso voto di fiducia) e con i gruppi parlamentari divisi. La cosiddetta "verifica" chiesta da Giordano nel mese di gennaio è un primo tentativo di trarsi d'impaccio, ma è chiaro che Rifondazione ha subito una sconfitta politica in un quadro generale per lei già difficile.
Non solo. Al Senato il «pacchetto Welfare» incontrerà ben altri problemi che alla Camera. Il malumore della sinistra potrebbe causare qualche smottamento in una maggioranza al solito assai risicata. E non va dimenticato l'altro terreno insidioso rappresentato dai provvedimenti sulla sicurezza (compresa la questione delle espulsioni degli immigrati). Rifondazione, comunisti italiani e verdi rischiano di trovarsi a votare tra poco - ancora una volta a Palazzo Madama - un testo su cui nella maggioranza non mancano le polemiche.
Da un lato, quindi, la scelta di Prodi finisce per mettere la sinistra comunista contro il suo elettorato tradizionale: sia sul Welfare sia sulla sicurezza. Il che provoca un corto circuito politico. Dall'altro, il peggio deve ancora venire per Giordano e Diliberto. Lamberto Dini, il vincitore della giornata di ieri, è convinto che «la maggioranza non c'è più» e che il quadro politico in cui è nato il governo Prodi «sia in via di superamento». Come dire che il binomio Dini-Bordon, da ieri ufficialmente alleati come "liberaldemocratici", non intende fermarsi. Con il Welfare si considera appena all'antipasto. E al Senato ha parecchie carte da giocare. In un certo senso si potrebbe dire che i centristi hanno messo in pratica la lezione appresa dall'estrema sinistra. Tenere sotto pressione Palazzo Chigi e obbligarlo a fare concessioni. Finora Prodi aveva privilegiato i rapporti con Rifondazione. Ieri ha seguito la via opposta e ha incassato l'accusa di guidare «il governo della Confindustria». Ma nella sostanza doveva scegliere e ha scelto, ponendo la fiducia. Con ciò ha ammesso che la sintesi nella coalizione è impossibile.
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