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di Stefano Folli

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Il Punto
Stefano Folli nasce a Roma da famiglia di origini milanesi. Laureato in lettere, muove i primi passi nel giornalismo alla "Voce Repubblicana", l'organo storico del Pri allora guidato da Ugo La Malfa. Nel 1981 viene nominato direttore responsabile della nuova edizione della "Voce". Collaboratore di Giovanni Spadolini, Folli ne è il portavoce a Palazzo Chigi durante l'esperienza del primo governo a guida laica, fra il 1981 e '82. Nel 1989 passa al "Tempo" come caporedattore politico. Dalla fine del '90 è al "Corriere della Sera", come notista politico e, più tardi, editorialista, fino ad assumerne la direzione tra il 2003 e il 2004. Dal 2005 è editorialista de "Il Sole 24 Ore". Folli ha anche fondato e diretto la rivista di affari internazionali "Nuovo Occidente". Ha vinto alcuni premi di giornalismo, tra i quali il St. Vincent, il premio Ischia e il Fregene.
stefano.folli@ilsole24ore.com

Veltroni pressa il premier ma ciò che serve è un progetto riformista
30 settembre 2008

Fra le critiche ricevute da Walter Veltroni dopo l'intervista al «Corriere della sera» ce ne sono di ingiuste e di eccessive. È chiaro che si parla di un leader in difficoltà, bisognoso di ritrovare un rapporto con la sua base di consenso. Non è strano, perciò, che il segretario del Pd inasprisca i toni in vista della manifestazione del 25 ottobre. Non può assolutamente permettersi che la piazza non risponda: sarebbe la fine della sua leadership. Ovvio che gli attacchi a Berlusconi siano funzionali a tale obiettivo a breve: compresa l'accusa di autoritarismo rivolta al premier, dipinto come un secondo Putin (ma il copyright della battuta appartiene a Bruno Tabacci). Il vero problema di Veltroni non è il desiderio, comprensibile, di riempire le strade il 25 ottobre. È la mancanza di un progetto politico di ampio respiro che non sia fondato sulla sconfitta clamorosa e disastrosa di Berlusconi.

Prospettiva che non sembra destinata a realizzarsi in tempi prevedibili, il che accentua l'impressione di debolezza offerta dalla proposta del Pd.

Su questo punto ha ragione Marco Follini, certo non sospettabile di nostalgie per il Pdl: Veltroni commette l'errore di alimentare l'anti-berlusconismo, senza rendersi conto che si tratta di un vero e proprio ricostituente per il presidente del Consiglio. Al contrario, Berlusconi potrebbe essere messo in dif-ficoltà, prima o poi, da un partito d'opposizione che fosse riuscito a definire la propria identità riformista. Il che non è.

Peraltro, se il problema fosse quello di condurre una battaglia frontale contro Berlusconi in nome della democrazia minacciata e dell'incombere di un regime neo autoritario, allora non si spiega il cardine della strategia politica di Veltroni negli ultimi mesi: la rottura con l'estrema sinistra,scelta pre-elettorale che ha messo il Pd in antitesi all'Unione prodiana. Come Prodi riteneva che fosse indispensabile un'ampia rete di forze per frenare e talvolta sconfiggere la destra, così Veltroni ha fatto il contrario. Ha cancellato le sigle massimaliste e ha cominciato a costruire un partito «moderno», desideroso di dialogare con l'Italia moderata e di averne il voto.

Veltroni sostiene che il 33,1 per cento ottenuto dal Pd nelle elezioni di primavera è un ottimo risultato. Se è così, perché ripudiare tutto e tornare a una specie di «fronte popolare »? Probabilmente per una sorta di panico, visto che Di Pietro, con il suo intransigente anti- berlusconismo, appare in crescita costante ed erode una fetta di elettorato democratico. Ma in fondo era prevedibile e non può bastare questo fattore a produrre un tale ribaltamento strategico. Tanto più che avrebbero ragione quei critici, come Arturo Parisi, che si domandano: perché abbiamo rotto con Bertinotti e gli altri, se il pericolo autoritario era alle porte?
Ne deriva che l'anti-berlusconismo vecchio stile non può costituire il motore del partito veltroniano, a meno di non riconoscere che aveva ragione Romano Prodi e che è stato un errore spezzare l'unità«antifascista »fra tutti gli oppositori dell'attuale premier. Il cammino del partito riformista non può che essere lento e fondato sui contenuti. Il federalismo fiscale offre un terreno prezioso di confronto. Ma anche la questione della scuola meriterebbe di essere affrontata senza demagogia, cioè senza accanimenti antiGelmini. Il Pd dovrebbe ascoltare le parole equilibrate pronunciate ieri dal Capo dello Stato.O quelle di Ciampi,l'altro giorno a Siena. Oppure dovrebbe rileggere le recenti interviste di Luigi Berlinguer.
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