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di Stefano Folli

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Il Punto
Per decidere la presidenza europea l'Italia guarda a Berlino
30 ottobre 2009
Tra breve l'Unione europea sarà chiamata a una decisione storica: eleggere il suo primo, autentico presidente in ossequio al Trattato di Lisbona che non è ancora operativo, ma lo sarà tra poco (dopo il «sì» definitivo della Repubblica Ceca). Quanto pesa nel dibattito politico italiano la scelta che si prospetta? Quasi zero. Eppure siamo destinati a essere coinvolti, a meno di non voler lasciare ai nostri partner – Germania, Francia e Gran Bretagna – ogni responsabilità.

Vero è che un paio di settimane fa Silvio Berlusconi ha lanciato in modo repentino la candidatura di Tony Blair. Ma si è trattato di un colpo a effetto senza conseguenze pratiche. Non risulta che il governo di Roma abbia preso qualche iniziativa in Europa per consolidare la candidatura dell'ex premier inglese. Il nome di quest'ultimo, beninteso, resta sul tavolo, ma non è accreditato di molte possibilità. E non è difficile capire perché.
Basta leggere sul «Corriere» di ieri l'intervista di Helmut Schmidt, uno dei pochi grandi europeisti viventi. L'ex cancelliere afferma senza giri di parole che Blair è inadatto al ruolo: «Gli uomini che finora hanno mandato avanti l'Unione e le sue istituzioni avevano assorbito l'Europa con il latte materno, erano cresciuti in un'atmosfera nella quale era automatico essere europeisti. Non è il caso di Tony Blair».

È chiaro che Schmidt dà voce a un sentimento diffuso in Germania. Ed è altrettanto chiaro che è molto difficile immaginare il primo «presidente dell'Europa» eletto contro la volontà e gli interessi tedeschi. In ogni caso non sembra questa l'intenzione italiana. La simpatia e l'amicizia di Berlusconi verso Blair l'hanno indotto a spezzare una lancia in suo favore, ma al dunque l'Italia eviterà di indispettire Berlino.
Sembra anzi evidente che il governo di centro-destra è molto attento a come si muove Angela Merkel. Non c'è da stupirsene, ovviamente. Il rapporto con la Germania è tradizionalmente un asse privilegiato della nostra politica europea. Negli anni berlusconiani, specie nella legislatura 2001-2006, si è indebolito a tutto vantaggio della relazione con la Spagna di Aznar e soprattutto con l'Inghilterra di Blair: una sorta di triangolo atlantico che ha sostenuto con convinzione la presidenza Bush nella lunga guerra al terrorismo.

Oggi l'elezione del presidente europeo può essere l'occasione per riallacciare il vecchio legame con la Germania. Del resto, in America al posto di Bush c'è Obama. E la stessa Gran Bretagna ha poca voglia di vedere Blair al vertice dell'Europa, se è vero che il probabile futuro premier conservatore, Cameron, sta boicottando la candidatura. Ci sono tutte le premesse perché il nostro governo, dopo aver reso omaggio a Tony Blair, si volga verso Berlino: prima di essere tagliato fuori dalle consultazioni che contano. Peraltro c'è un altro argomento sullo sfondo, forse decisivo: la comune appartenenza della Merkel e di Berlusconi al Partito popolare europeo. E non è un caso che dopo la candidatura di Blair e quella di Juncker, sia emerso ora il nome di Schüssel, cattolico austriaco molto gradito ai tedeschi.
Rimane da capire se e quando l'elezione del presidente dell'Unione diventerà, in Italia, il tema di un confronto tra maggioranza e opposizione. Dovrebbe essere così, visto che si considera la politica europea come il terreno ideale per le intese «bipartisan». Ma per ora tutto tace.


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30 ottobre 2009
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