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28 giugno 2007
Ripartire dall'interoperabilità
di Andrea Camanzi


È ora di prendere atto che la regolazione del mercato delle telecomunicazioni prodotta dalle Autorità dei paesi dell'Unione europea negli ultimi 9-10 anni, prima sulla base dei principi Onp e poi su quelli - più sofisticati - del "nuovo quadro regolamentare", non ha dato i frutti attesi. Lo confermano almeno tre considerazioni di fatto:

1) La dipendenza degli Olo (operatori di tlc alternativi). In nessun paese europeo nessuno degli Olo nuovi entranti (escluso gli operatori mobili) è ancora in grado di fissare i prezzi e lanciare i propri servizi in modo indipendente dai vecchi incumbent; meno che meno in Italia nonostante che all'inizio, dietro Wind, sia sceso in campo addirittura lo Stato (tramite Enel) ;

2) La finta libertà del consumatore. È vero che i consumatori utenti dispongono ora di una libertà di scelta non esistente prima, ma essa è fra "pacchetti integrati di servizi" predefiniti dagli operatori. Nessun cittadino può oggi scegliere uno solo fra i servizi offerti da un operatore per poi combinarlo a suo piacimento con quello offerto da un altro.
Nelle Telecom, per i clienti residenziali, (altra cosa sono i clienti wholesale e quelli business) vale ancora la regola del "tutto o niente". Eppure da un punto di vista tecnologico un cittadino potrebbe benissimo comprare, ad esempio, l'accesso fisico in fibra da Fastweb, la piattaforma di servizi Internet Broad Band di Alice e il servizio E-Mail di Infostrada, pagando a ognuno la sua quota parte di servizio, come si fa in autostrada con il Telepass. La preclusione a un tale comportamento deriva da scelte del regolatore, che fino a oggi ha sistematicamente trascurato il benessere del consumatore individuale preferendo invece tutelare quello dell'operatore nuovo entrante.

3) Aumentano i volumi di traffico, ma calano i margini. Se i nuovi entranti stanno male non stanno meglio i vecchi incumbent. I loro margini percentuali e in valore assoluto continuano a scendere non solo per il crollo dei prezzi del mercato delle telefonia vocale. La ragione è lo sviluppo della nuova industria globale dei servizi Web che, finanziati dalla raccolta pubblicitaria, buttano fuori mercato i tradizionali servizi e i nuovi operatori di telecomunicazione. Quelli vecchi resistono ancora, ma fino a quando?
Si è soliti dire che i Regolatori devono difendersi dal rischio di essere "fatti prigionieri" dagli operatori dominati. Sarebbe ora il caso di riconoscere che i regolatori dei paesi europei questo rischio lo hanno evitato. Essi sono però caduti in uno opposto, ma non meno grave: essi sono oramai prigionieri di loro stessi e dei loro vecchi schemi teorici basati sul ruolo demiurgico e risolutore dei "nuovi entranti di rete fissa" una volta dato loro il tempo di investire in infrastrutture proprie (la cosiddetta "ladder of investment").

Così facendo hanno perfino perso di vista il mondo dei servizi mobili e personali, come dimostra il recente "grido di dolore" di Vittorio Colao sulle pagine di sabato scorso di questo giornale che chiede il refarming delle frequenze nella banda 900.
Le vittime illustri di questo errore sono due: 1) la valorizzazione delle risorse pubbliche scarse - le frequenze in primis - della cui efficienza d'uso oramai non si discute più nei singoli Stati e poco a livello comunitario; 2) il cittadino europeo che, ingiustificatamente, non beneficia di tutti i "dividendi" della tecnologia digitale consistenti nella fine del modello di fatturazione dei servizi in base al tempo di connessione e alla distanza della chiamata. Una conversazione voce o dati Parigi-Bruxelles costa molto di più di una sulla tratta Parigi Lione. Eppure la distanza è la stessa come pure la tecnologia di rete: la differenza è unicamente nella "barriera amministrativa" che divide il mercato belga delle telecomunicazioni da quello francese.È oramai un anno che aspettiamo la proposta della Commissione Europea di revisione del quadro regolamentare.

Che fine ha fatto?
La stessa domanda andrebbe girata alla AGCom che prima annuncia il proprio appoggio alla ventilata riforma Reding e poi ultimamente si è dichiarata contraria a uno dei punti più qualificanti di quel pacchetto: la costituzione della Autorità europea.
Eppure negli scorsi 12 mesi la strada da imboccare si è fatta ancora più precisa ed evidente.
Eppure la domanda di nuovi servizi c'è ed è in crescita esponenziale, ma essa non si rivolge ai tradizionali servizi di telecomunicazione erogati su reti gerarchiche e proprietarie, bensì a quelli IT e ai Web services che utilizzano piattaforme P2P che prescindono dalla rete a cui si è agganciati in quel momento. Si tratta di una domanda rilevante e non effimera.

Siamo di fronte a una rivoluzione nel mercato dell'accesso ai servizi - sempre meno dipendente dall'ultimo miglio in rame e sempre più dipendente da piattaforme wireless - ma anche una nuova definizione, in questo contesto, di cosa sia "l'ultimo miglio" o la rete di accesso. Essa non può più essere identificata come la parte di rete che va dalla centrale alla borchia di utente o dalla Bts all'apparato: oramai è nato un nuovo mercato, quello delle ultra-wide-local-area-network basato su spettro pubblico e condiviso.

Per sfruttare questo nuovo mercato occorre assicurare l'interoperabilità di queste piattaforme di servizi e delle modalità di accesso e sfruttamento in sicurezza dello spettro. Questa non è una sfida gestibile da un solo paese. È ora che la regolamentazione si rimetta in sintonia con il mercato e ne favorisca le necessarie concentrazioni e innovazioni. Spetta ora al Governo dire se preferisce una Autorità a livello europeo o la sommatoria di una miriade di una trentina di Agenzia Nazionali associate in modo autoreferenziale nell'Erg.

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