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28 giugno 2007
Aspettando di liberalizzare l'Rfid italiano
di Paolo C. Conti *


In Italia, sui tavoli di tante aziende grandi e piccole, ci sono centinaia di progetti innovativi che non possono partire. Ruotano attorno alla tecnologia Rfid (Radio Frequency Identification), che permette di tracciare gli oggetti in modo intelligente con piccole etichette elettroniche che comunicano via radio. Supermercati evoluti, nuovi sistemi per identificare i farmaci, filiere distributive più integrate.

Progetti legati soprattutto alla logistica, ma anche a molti altri ambiti applicativi importanti. Sono bloccati perché le frequenze Uhf (Ultra High Frequency) che molte di queste etichette utilizzano sono state finora riservate ai ponti radio del ministero della Difesa. Il fatto è che a quanto pare questi ponti radio continuerebbero a funzionare a dovere anche se le stesse frequenze venissero usate anche da altri. Ne è convinto il ministero delle Comunicazioni. Così come anche il Commissario europeo Viviane Reding, che poco più di sei mesi fa ha avvisato i paesi dell'Unione che entro la fine di maggio avrebbero dovuto liberalizzare queste particolari frequenze.

Si sono adeguati tutti senza riserve. A eccezione della Francia e dell'Italia. La richiesta di deroga francese (limitata a poche basi militari e a una piccola porzione del territorio) è stata accettata. Quella italiana (molto più generica e penalizzante per le imprese) ancora no, sebbene i termini per il ricorso siano in realtà già scaduti. Lo staff della Reding ha chiesto pochi giorni fa all'ufficio tecnico del nostro ministero delle Comunicazioni qualche dettaglio in più per prendere una decisione che richiederà con tutta probabilità ancora qualche settimana.

Il fatto è che la deroga, chiesta per competenza dal ministero delle Comunicazioni, ma fortemente voluta dalla Difesa, avrebbe un impatto notevole sui progetti di cui parlavamo. Se venisse accettata, per due anni le frequenze Uhf in questione (quelle che occupano la banda compresa fra 860 e 960 MHz) potrebbero essere usate con una potenza sufficiente solo all'interno di spazi chiusi o chiaramente delimitati. Ufficialmente, per lo meno. Visto che lo stesso ministero delle Comunicazioni interpreta il concetto di "spazio chiuso" in modo ampio, comprendendo per esempio nella definizione anche le aree all'aperto che fanno parte di fabbriche e stabilimenti, come le aree di carico delle piattaforme logistiche.

Sta di fatto che negli spazi aperti e pubblici ("outdoor", come dicono gli addetti ai lavori), la potenza delle antenne andrebbe fortemente limitata per evitare improbabili interferenze con gli apparecchi militari, il che finirebbe per rendere impraticabili alcune delle applicazioni più interessanti.
In Francia tutto ciò non avverrà, visto che la liberalizzazione è già una realtà, a eccezione delle poche basi militari interessati dalla deroga.

Francesco Troisi, il direttore generale del ministero delle Comunicazioni per la gestione e pianificazione dello spettro elettromagnetico, ci ha spiegato che il suo ufficio è decisamente orientato a favorire la liberalizzazione nei tempi più brevi possibili. E anche lo stesso ministro Gentiloni sembra dello stesso parere. «Mi auguro che si possa trovare un'intesa con la Difesa e credo che i tempi della liberalizzazione potranno essere più brevi di quanto la deroga preveda», ha detto il Ministro a Nòva24.
Ciononostante, per emanare il regolamento che renderà effettiva la decisione europea anche sul nostro territorio anche Gentiloni dovrà fare i conti con la decisione definitiva della Reding.

La situazione ha del paradossale. Tutti (esclusi i militari) sono convinti che sarebbe molto meglio se alla fine la deroga non venisse accettata. Perfino coloro che l'hanno chiesta. Ma la macchina burocratica è ormai in moto.
Nel vuoto normativo del momento, senza alcuna certezza, le aziende, ma anche le tante università coinvolte in questi progetti, non possono far altro che aspettare. In mancanza del regolamento italiano, la raccomandazione europea ha valore di legge e a questo punto i progetti potrebbero anche partire. Ma se nelle prossime settimane la deroga dovesse essere accettata, il nuovo regolamento che la seguirebbe finirebbe per mettere le applicazioni al di fuori delle regole nazionali. Certo, Difesa e Comunicazioni potrebbero finire per trovare un accordo, ma i tempi potrebbero comunque non essere brevissimi.

Il problema è che molte delle aziende in questione sono multinazionali che avviano i propri progetti strategici in più paesi contemporaneamente. Se la deroga venisse accettata ci troveremmo di fronte a un evidente freno a uno stimolo innovativo importante e riconosciuto da tutti. Ma anche così stiamo perdendo tempo prezioso. Non solo nei confronti del resto d'Europa, ma anche e soprattutto verso Stati Uniti ed Estremo Oriente, dove l'Rfid è soggetto a limitazioni molto più blande rispetto all'Europa.

* Presidente del Cedites

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