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Alain Minc / «All'Eliseo meglio Sarkozy»
di Attilio Geroni (4 aprile 2007)


Se fosse stato italiano avrebbe sicuramente votato Romano Prodi. E se invece di Ségolène Royal il Partito socialista avesse candidato alle presidenziali Dominque Strauss-Kahn, non avrebbe avuto dubbi su chi scegliere per l'Eliseo. Alain Minc (58 anni) però è francese e ama sovvertire i cliché. Considerato vicino ai circoli intellettuali della sinistra parigina (è amico di Bernard-Henri Lévy, presiede il consiglio di sorveglianza di Le Monde), ha deciso che il 22 aprile voterà Nicolas Sarkozy.
Come lui altri esponenti della cultura e del pensiero francesi, ritenuti forse per inerzia "in quota" alla gauche, si sono espressi a favore del leader della destra, come nel caso di André Glucksman e Alain Finkielkraut. La scelta di Minc è però ancora più interessante a causa della natura poliedrica del personaggio.
Superconsulente d'impresa tra i più conosciuti (e controversi) di Francia, è un saggista-opinionista estremamente prolifico: 28 libri alle spalle, una rubrica settimanale sulla catena televisiva dell'amico Vincent Bolloré. Nei mesi scorsi è stato al centro di polemiche sul conflitto di interessi ed è stato costretto a lasciare il consiglio d'amministrazione del colosso delle costruzioni Vinci, dopo che uno dei suoi clienti più famosi, il miliardario François Pinault, aveva acquisito una partecipazione del 5 per cento.
L'ufficio in avenue George V riflette alcune delle sue passioni: mobili di design americano anni 50, grandi foto in bianco e nero, la sacca da tennis sempre pronta per giocare non meno di tre volte a settimana.
In realtà, nessuno dei tre più importanti pretendenti all'Eliseo rappresenta per lui il candidato ideale. La scelta cade su Sarkozy per ragione pragmatiche, non ideologiche: «Il suo è il programma che meglio degli altri prepara il Paese alla globalizzazione e al recupero di competitività», dice. Lo definisce un programma di impostazione liberale, ma «alla francese», con elementi di economia sociale. Gli piacciono l'idea di rendere più flessibile il mercato del lavoro, tenere sotto controllo la spesa pubblica e la propensione a un certo tipo di alleggerimento fiscale. «Con Sarkozy - è convinto Minc - il processo di adattamento comincerà subito. Con Royal si partirà con un programma che poteva andare bene 10 o 15 anni fa, salvo accorgersi, dopo un po', che non funziona e che bisogna quindi correggerlo. L'adattamento comincerà in ritardo».
Secondo Minc la sinistra francese è in deficit di rinnovamento. Sfrenato ammiratore di Tony Blair, non vede ancora prevalere nel Partito socialista i segni di una moderna socialdemocrazia. Lui, che si definisce «liberista di sinistra», voterà Sarkozy anche per il suo approccio nei confronti della costruzione europea. Definisce «assurda» l'idea di sottoporre i francesi a un nuovo referendum nel 2009: «Non possiamo correre il pericolo di un altro no. La proposta di Royal e di Bayrou ci espone enormemente a questo rischio. L'unico progetto realista mi sembra dunque quello di un mini-trattato, come sostiene Sarkozy, da sottoporre all'approvazione del Parlamento».
Minc si è fatto un'idea precisa e probabilmente originale sul perché i candidati di oggi non possono che esprimere un liberismo e una socialdemocrazia a forte connotazione francese. Tutto risalirebbe all'elezione del presidente Jacques Chirac nel 1995, quando all'Eliseo si è installato un politico soltanto nominalmente di destra: «Di fatto Chirac ha dimostrato di essere, soprattutto in economia, un radical-socialista. Come potremmo definire altrimenti un capo di Stato secondo cui il liberismo causerà gli stessi danni che ha provocato il comunismo?».
Questo atteggiamento, speculare a quello di François Mitterrand, legittimato dalla sinistra, ma con profondi sentimenti e attitudini politiche di destra, ha spiazzato i due grandi schieramenti: «Ci si è spostati a sinistra, lasciando il fianco scoperto all'estremismo di Le Pen, che non a caso è cresciuto e ha prosperato. Per risolvere i problemi sociali non basta, come è stato fatto nell'ultimo decennio, ricorrere sistematicamente alla spesa pubblica».
La Francia ha bisogno di recuperare competitività e in questo ha un pungolo formidabile, secondo Minc: il fatto di aver accumulato un certo svantaggio rispetto alla Germania. Sarkozy ha la ricetta migliore per rispondere a queste esigenze delle imprese, mentre «il programma di Royal aggrava i ritardi della nostra economia». Riconosce però che le elezioni presidenziali stanno attirando un interesse senza precedenti, in Francia e all'estero, soprattutto per l'atipicità dei due candidati più importanti: «Due vegliardi - dice riferendosi alle elezioni del 2002, dove si fronteggiarono al ballottaggio Chirac e Le Pen - sono stati rimpiazzati da due rockstar. Sarkozy non è un politico classico per formazione e per attitudine. Royal sarebbe stata un politico classico se fosse stata un uomo».
Ipercritico, perché probabilmente deluso, nei confronti della sinistra francese, è invece molto più benevolo nei confronti di quella italiana al Governo, «che nei limiti delle sue debolezze strutturali ha fatto parecchio». Ammira soprattutto Pierluigi Bersani, che definisce «il Pierre Bérégovoy italiano», riferendosi all'ex premier e ministro delle Finanze socialista che tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 seppe promuovere alcune importanti liberalizzazioni.


LA SCHEDA
La carriera
Nato a Parigi nel 1949 da padre di origini polacche, Alain Minc frequenta l'École nationale d'administration da dove passa all'Ispettorato generale delle Finanze, per poi approdare al settore privato (Saint Gobain) e diventare stretto collaboratore di Carlo De Benedetti, alla guida di Cerus
L'attività
Superconsulente aziendale per alcuni dei più importanti imprenditori francesi (da François Pinault a Vincent Bolloré) e saggista commentatore: scrive in media un libro all'anno. Vicino agli ambienti intellettuali della sinistra parigina, presiede il consiglio di sorveglianza del quotidiano Le Monde. È molto ascoltato dal commissario europeo Peter Mandelson, dal banchiere americano Felix Rohatyn e dal presidente di Rolls-Royce, Simon Robertson


 
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