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Compleanno dolceamaro a Berlino
di Adriana Cerretelli


Guardando indietro, alle conquiste dei suoi primi cinquant'anni, l'Europa potrebbe avere un moto di orgoglio, perfino lasciarsi andare a un autocompiacimento quasi smodato: pace, democrazia, benessere diffuso, mercato e moneta unica. Niente frontiere per i cittadini di Schengen. Allargamento smisurato: dai 6 Paesi membri delle origini nientemeno che ai 27 di oggi, grazie alla caduta del Muro di Berlino, alla riunificazione tedesca prima ed europea poi. Tanti nuovi candidati all'ingresso in lista d'attesa (Turchia compresa) e in costante aumento. Potrebbe essere fiera, se non avesse la testa e gli occhi offuscati dalla crisi di consenso che da qualche anno l'assedia paralizzandone la capacità di auto-riformarsi, di darsi una governance istituzionale all'altezza delle sue nuove dimensioni geografiche e delle sfide globali che ogni giorno ne mettono alla prova coesione e credibilità interna e internazionale.

Nella primavera del 2005 il gran rifiuto franco-olandese alla ratifica della Costituzione europea - nome pomposo attribuito a quella che in realtà era solo l'ennesima riforma dei Trattati vigenti - è stato la punta dell'iceberg di una crisi profonda che maturava da anni, dalla caduta del Muro di Berlino, ma che nessuno voleva vedere. Anzi che tutti hanno voluto accantonare lanciandosi nella corsa sfrenata all'allargamento a Est. Ma prima o poi i nodi vengono sempre al pettine. È quello che puntualmente è accaduto.
«Il 50% degli europei vuole più Europa, ma l'altro 50% pensa che ce ne sia già troppa: è questa la crisi europea» ha riassunto Jean-Claude Juncker, il premier lussemburghese che dell'integrazione continentale è uno dei fautori più convinti.

La crisi del motore franco-tedesco. Tormentati da paure vere e presunte nel futuro, da angoscie economiche e identitarie di fronte all'Unione che si allarga e si porta dietro più concorrenza e meno garanzie, di fronte alla globalizzazione che colpisce in parallelo moltiplicando insicurezze e timori, oggi i cittadini europei appaiono un po' dovunque preda di una crisi psicologico-esistenziale. Accusano l'Europa liberal-liberista di tutti i loro guai. Il bersaglio è facile ma è sbagliato: l'Europa infatti è la dimensione minima necessaria per difendere la loro way of life nel mondo globale. Ma quando i cittadini sono contro, i Governi si guardano bene dallo sfidarne i malumori. E così l'Unione è bloccata. Ha disperato bisogno di una governance istituzionale, politica ed economica più moderna ed efficace per incidere sulla scena mondiale ma dal 2005 si limita a tirare a campare. Aspettando le presidenziali francesi. Facendo finta di non sapere che l'equazione delle riforme necessarie ormai non passa più solo dal binomio franco-tedesco. Prima tutto perchè il vecchio motore è in crisi dal 1989 e poi perchè nell'Unione allargata Francia e Germania da sole non riassumono più l'interesse collettivo di 27 Paesi troppo eterogenei in un continente dove i nazionalismi tornano a sgomitare.

Teoricamente la riforma istituzionale è attesa per il 2009. Ammesso che ci si arrivi, quale riforma? La Germania della Merkel, attuale presidente di turno, era partita in quarta con le promesse, ora silenziosamente sta facendo marcia indietro. Vietato comunque chiamarla Costituzione, termine controproducente tra le pubbliche opinioni. Il che la dice lunga. C'è chi dice che il testo bocciato è morto, che ce ne sarà un altro più breve, semplice e comprensibile. C'è chi dice che alla fine non ci sarà niente, solo la riforma ai minimi termini del vigente Trattato di Nizza. Se sarà così, due gli scenari possibili: o la grande Europa si ridurrà a una grande zona di più o meno libero scambio oppure da essa si staccherà un'avanguardia di Paesi dagli interessi più omogenei per fare quello che a 27 è ormai impossibile. Ma questa sarà la storia dei prossimi 50 anni.



 
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