Sono bastati due giorni al Festival dell'Economia di Trento per ridarmi un po' dell'ottimismo che le cronache degli ultimi mesi avevano messo a dura prova. Centinaia di giovani di varie nazionalità, entusiasti, competenti, poliglotti, sorridenti, mobilitati per accogliere e assistere gli ospiti, per fare funzionare tutto all'insegna dell'efficiente understatement. Decine di migliaia di persone — per lo più giovani, ma non solo — arrivati a Trento da vicino e da lontano per ascoltare, imparare, partecipare, dire la loro. E per dirla, spesso, in modo intelligente, perfino originale, informato, colto.
Relatori venuti da tutto il mondo: accademici di fama dallo stile informale,cordiale, pronti al dialogo con tutti. Temi complessi dipanati in modo piano e comprensibile, pur senza nulla concedere alla banalizzazione,di fronte a sale gremite, attente, reattive. Argomenti scelti per la loro rilevanza nella vita delle persone, delle comunità. Assenza di retorica. Lontananza dalla cronaca politica. Dialoghi che continuano, a piccoli gruppi e capannelli, dopo la fine della discussione generale. Una città accogliente, pulita, funzionante, invasa dagli scoiattoli neri in campo arancione, simbolo del Festival, ma soprattutto da tanti megaschermi che ripropongono, sulle piazze, le relazioni e i dibattiti: cittadini che si fermano, guardano, ascoltano, discutono. Per cinque giorni, a Trento, l'economia non è la "triste scienza". La tristezza è sostituita dalla partecipazione, dall'intelligenza, dalla curiosità e dal dialogo. E, la sera, dalla musica.
Che cosa c'è dietro questo straordinario successo? C'è certamente un'intuizione fortunata attuata in modo accattivante, moderno, non conformista, con sapiente consapevolezza delle esigenze della comunicazione. Ci sono sponsor che hanno capito il valore del progetto, prima che il successo diventasse evidente. Ma c'è, mi pare, molto di più. C'è una comunità di provincia che ha creduto e investito nella formazione e nella ricerca. E lo ha fatto in modo corale, con discussioni accese e anche divisioni, ma senza gli usuali paralizzanti veti incrociati. Una comunità che ha saputo fare crescere la propria giovane università, concentrando le risorse in pochi promettenti settori come le scienze cognitive e dell'informazione,attraendo dall'estero ricercatori di fama e un buon numero di studenti. Una università ben gestita, che cerca di sfruttare al meglio la limitata autonomia della quale gode nell'ordinamento italiano.
Arrivano così anche gli investimenti privati, sino al clamoroso accordo con Microsoft. Le risorse, lo sappiamo, sono in Trentino più abbondanti che altrove grazie allo statuto dell'autonomia. Ma sono state spese bene. Tutte piccole cose, forse,ma germi di una gioventù, di un segmento di società non bloccato,in sintonia con il mondo che cambia. Mi basta questo a riprendere un po' di ottimismo: l'Italia che vorrei esiste davvero. Mostra che nessun dio maligno ci ha condannato alla marginalizzazione, a un ineluttabile declino.
2 giugno 2007 |