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Becker: «Le nazioni alla sfida del merito»
colloquio con il premio Nobel dell'economia
di Mario Platero
I viali della Chicago University sono deserti: è un sabato pomeriggio di maggio, i corsi sono finiti, la maggioranza degli studenti è già tornata a casa, ma Gary Becker è lostesso in ufficio, alla facoltà di economia di questa università che ha dato il monetarismo e il neoliberismo al mondo. Deve sbrigare alcune faccende, mettere ordine, dare l'ultimo ritocco a uno dei suoi paper. Gli chiediamo di riflettere sulle prospettive dello sviluppo analizzato dal suo punto di vista, quello che sposa la sociologia all'economia. E che affronta tematiche legate alla discriminazione, al ruolo delle minoranze, alle probabilità che qualcuno esca dalle "regole", barando, rispetto agli altri, una vera e propria attività "criminale" con un forte costo per l'economia, che si riflette anche sulla famiglia e sulla stabilità sociale, sottolinea Becker nell'intervista con il Sole 24Ore.

Quell'insieme di fattori che vanno a formare il "capitale umano", centrale, essenziale per lo sviluppo economico del nostro tempo.Becker che per il suo lavoro in materia è stato insignito del premio Nobel per l'economia nel 1992, non ha esitazioni: «La sfida economica di questo secolo si giocherà sul capitale umano», dice. Argomento che sarà il tema centrale del Festival dell'Economia di Trento, al quale il Nobel parteciperà il prossimo 3 giugno. La sfida non riguarda soltanto la dimensione aziendale o scolastica o, generalizzando "individuale" per il miglioramento del "capitale umano".In termini macro, questa sfida riguarderà direttamente il confronto fra le nazioni: quelle che saranno riuscite a trasferire i proventi della crescita e del benessere in un investimento sul capitale umano saranno quelle che riusciranno a prevalere nella corsa vero il progresso, verso un miglioramento della produttività, verso l'innovazionetecnologia e la sua applicazione immediata nell'economia.

Becker non ama predicare in astratto e identifica quattro parametri essenziali su cui si deve investire per migliorare la qualità del capitale umano e dunque la posizione relativa di una nazione rispetto alle altre: l'istruzione, l'addestramento,la salute,l'informazione. Una delle questioni centrali è che ciascuno di questi parametri deve essere associato agli altri. Non basta investire bene soltanto su due aspetti, perché è l'interazione dei quattro che produce risultati straordinariamente importanti». Vi sono naturalmente dei rischi: strada facendo,lungo il percorso del miglioramento, che dovrebbe sempre partire da basi di uguale opportunità, si manifesteranno delle invitabili differenze di cui non si potrà non tenere conto.

Di tipo ereditario, ad esempio: crescere in un ambiente già avanzato dal punto di vista dell'istruzione può avvantaggiare un giovane rispetto a un altro. Ma se il meccanismo funziona per il meglio, se un principio cardine, quello della meritocrazia, è applicato in modo equo e costante, la società finirà per compensare possibili elementi di discriminazione nel corso del lungo periodo dell'apprendimento e immediatamente dopo nei primi anni nel mondo del lavoro: «Non c'è alcun dubbio, senza merito non vi è alcuna possibilità di successo nel senso più latodel termine. La meritocrazia è centrale per consentire a coloro che si trovano svantaggiati in partenza di poter recuperare».

E, sottolinea Becker, è importante finanziare ad esempio i sistemi educativi con proventi fiscali derivati da una tassazione generale e non mirata, questo proprio per consentire alle classi meno abbienti di avere accesso a scuole buone, dove poter crescere. Becker è anche contrario all'affirmative action, a quello strumento cioè che attribuisce delle quote obbligate di presenza in certe scuole per certe minoranze identificate come svantaggiate: «Sulla carta sembrerebbe una buona cosa, un metodo per riequilibrare e compensare il distacco di partenza, ma, alla fine, si tratta di un sistema ingiusto e inefficiente,anche perché è sempre molto difficile stabilire dove e quando fermarsi». Alla fine, continua Becker, quello dell'affermative action è un sistema che finisce per perpetuare i semi della discriminazione perché rischia di trasmettere soltanto la "percezione" di un buon risultato dal punto di vista dell'istruzione invece di un risultato frutto esclusivamente del merito.

Ma per poter bilanciare bene l'investimento in ciascuno dei quattro parametri si dovranno anche applicare principi molto concreti: «Quello di cui dobbiamo renderci conto è che non stiamo parlando di beni astratti, di semplici valori, stiamo parlando di un vero e proprio patrimonio, quantificabile. L'eccellenza nella formazione e nella manutenzione delcapitale umano è un investimento non diverso da quello che si può compiere in investimenti tangibili, come un ponte o dei macchinari, anzi, forse è persino più importante, perché si finanzia la crescita verso il futuro».

Becker stima che l'investimento nel capitale umano vale nel nostro tempo fra il 25% e il 30% del Pil di un Paese,di gran lunga la voce più importante. E il contributo del capitale umano a crescita e sviluppo è quantificabile nel momento in cui si può misurare il risparmio in termini di efficienza per l'economia, derivato dalla convergenza ottimale dei quattro parametri fondamentali. Ma avverte che vi sono delle trappole: si può anche investire molto nel capitale umano, ma se poi non intervengono altri fattori paralleli, ad esempio l'apertura dei mercati o la possibilità di operare in un regime flessibile, alcuni dei benefici rischiano di scomparire. E ci porta un esempio, che può avere conseguenze dirette sul sistema Italia. Prendiamo due economie,ciascuna con dieci aziende molto efficienti sul punto produttivo. «È provato —spiega Becker —che se ledieci aziende più efficienti del Paese A rappresentano oltre il 50% di un certo output settoriale, vi sarà un contributo più rapido al tasso di crescita dell'economia rispetto a quello del Paese B in cui le dieci aziende più efficienti rappresentano solo il 10% dell'output settoriale».

In altre parole:per poter avere degli effetti moltiplicatori sull'economia nel suo insieme, l'efficienza del capitale umano deve accompagnarsi alla dimensione. Le conseguenze non sono cosa da poco. Se le compagnie più efficienti rappresentano una parcelizzazione della produzione, oggi il rischio, in un'economia globale, è quello del fallimento. Questo perché molto semplicemente, aldilàdella buona qualità del capitale umano, si innesca un sistema meritocratico di tipo macro che premia le economie di scala, le efficienze produttive al di là di quello che possono fare attori ugualmente avanzati, ma molto più piccoli: «E qui c'è senza dubbio una sfida per l'Italia, un Paese che ha avuto e superato molte sfide in passato, ma che oggi con una miriade di aziende medie e piccole, si trova con una sfida epocale,quella di conciliare l'obiettivo di eccellenza del capitale umano con la dimensione di aziende troppo piccole per competere su scala globale».

Il rimedio è evidente:se quelle aziende medio piccole riusciranno ad assumere una mentalità globale,riusciranno a focalizzarsi su un mercato di niche con l'obiettivo di conquistare una larga fetta del loro mercato a livello mondiale, allora i risultati si potranno avere lo stesso «perché — spiega Becker — in questo caso sulla dimensione assoluta, prevale la dimensione della quota di mercato».Essere leader mondiale nel proprio settore, per quanto piccolo, anche da un punto di vista complessivo deve essere dunque la prerogativa strategica per poter utilizzare al meglio l'eccellenza del capitale umano.

30 maggio 2007

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