La legge finanziaria per il 2008 (compreso il decreto relativo alle risorse del 2007) è la fotografia del nostro Paese: c'è di tutto. Non è una critica, ma una constatazione. Si mantiene l'impegno a ridurre il disavanzo pubblico e il peso del debito come vuole l'Unione europea; ci sono misure di riduzione fiscale per le imprese; si favoriscono i piccoli professionisti e artigiani con la forfetizzazione delle imposte; si riduce l'Ici per le famiglie con redditi minori di una certa soglia; vi sono interventi per le persone bisognose, per le spese scolastiche, per la cooperazione internazionale, per la ricerca, per (alcune) infrastrutture, per la sicurezza, per il lavoro e si potrebbe continuare a lungo.
Come sempre, quando c'è un po' di tutto, manca anche un po' di tutto, sicché ci saranno molti scontenti, perché nessuna delle aspettative è stata accontentata soddisfacentemente (né poteva esserlo).
Non solo: l'invidia sociale nel vedere accettate anche le richieste "degli altri", finirà per ridurre la soddisfazione per quanto si è avuto. Non vi saranno, quindi, salti di gioia dopo questa Finanziaria, malgrado il Governo abbia fatto un serio lavoro per comporre le aspettative degli italiani, in una situazione di finanza pubblica che resta fortemente critica.
Se c'era bisogno di una ulteriore dimostrazione di questa frammentazione, l'ultima legge Finanziaria l'ha data accogliendo in larga misura l'elenco delle istanze che la composita maggioranza di governo rappresenta, quasi in un gioco di specchi con il Paese. Questo dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che in effetti i politici italiani non sono distanti dalla gente ma, al contrario, sono troppo vicini, quasi incollati al territorio, tanto che ne finiscono per rappresentare tutte le richieste senza essere capaci di fare sintesi e di dare alcune priorità.
In questi giorni, dopo gli spettacoli di Beppe Grillo, si è spesso parlato di eccessivo distacco della politica dalla gente, di rifiuto da parte degli italiani nei confronti di una casta che gode di privilegi e non sa ascoltare quello che chiede la gente. Temo che la verità sia all'opposto: la politica italiana è troppo incollata al Paese e ne rappresenta le esigenze, vere o presunte, senza fare da schermo. Come ha ben detto Ilvo Diamanti (sulla «Repubblica» del 23 settembre), gli italiani contestano i privilegi dei politici non perché li vedano distanti, ma perché li sentono talmente simili a loro stessi che non capiscono perché debbano godere di privilegi.
Questo sforzo di ascoltare, quasi uno per uno, i 58 milioni di italiani grazie anche alle nuove tecnologie, di parlare la loro lingua (insulti e sgrammaticature comprese), di legittimare tutte le richieste (persino l'evasione fiscale), di pensare e di esprimersi come uno qualunque, non è fare democrazia. Con tali atteggiamenti si possono anche vincere le elezioni raggruppando i malcontenti, ma poi non si governa. Al massimo, si finisce per riprodurre in Parlamento e nelle altre istituzioni le frammentazioni e le contraddizioni che sono presenti nella società.
La frammentazione di una società non è un male in sè; anzi è una ricchezza, perché indica una società composita e varia, dove ognuno può ritrovarsi, e perché è sintomo di evoluzione e di capacità di assimilazione del nuovo. Ma più la società è composita, meno la politica deve esserne il riflesso nello specchio. La politica serve, anche e soprattutto, per dare unità e visione a istanze diverse che necessariamente sono contraddittorie. Per questo la politica deve distaccarsi dalla società (senza per questo perderne i contatti), deve saper fare sintesi che non è sommatoria delle richieste, e deve dare delle priorità per conseguire obiettivi condivisi. A politici di questo tipo, è da ritenere che l'opinione pubblica non negherà neppure i privilegi, perché essi verranno considerati come strumenti per conseguire un bene comune.
Invece, complice un sistema elettorale immorale (perché concepito proprio per rendere impossibile il governo), la politica italiana è sempre più un caleidoscopio, dove i frammenti della società si mescolano in continuazione, per dare forma a figure effimere, a volte anche divertenti, ma inconcludenti, senza alcuno scopo e senza alcuna utilità.
Occorre, con pazienza e determinazione, riprendere la via di una reale rappresentanza dell'Italia, rispondendo meno alle singole istanze e proponendo traguardi utili per tutti. Rischiando anche, politicamente, sulle scelte che vengono fatte: e forse scopriremo che il Paese, messo davanti a delle scelte, è meno frammentato di quello che si crede e sa premiare chi si prende l'onere di dare una visione d'assieme.