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Visco: «Con l'Irap via al federalismo fiscale»

di Dino Pesole

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1 ottobre 2007

L'aumento del gettito è un dato di fatto, è sotto gli occhi di tutti. Ora, per consolidare i risultati, occorrono uomini e mezzi. Non basta solo la deterrenza che deriva dall'indirizzo politico. «L'ho scritto sul Sole-24Ore, ho spiegato scientificamente cos'è la lotta all'evasione. Il punto vero è che dovrebbero consentirci di assumere funzionari di qualità. Ogni laureato di valore che assumiamo per fare l'accertatore produce in pochissimo tempo dieci volte il suo stipendio. In cinque anni possono garantire un miliardo di rendimento netto. Ritengo che convenga a tutti, senza alcuna controindicazione per la riduzione della spesa pubblica. In caso contrario, è difficile garantire risultati come quelli ottenuti. In questo Governo faccio un lavoro indispensabile ma che è per sua natura fastidioso. Per farlo, c'è bisogno di avere condizioni di lavoro in tranquillità, di poter usare tutti gli strumenti».
Il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, il giorno dopo il varo della Finanziaria da 11 miliardi, spiega che questa manovra ha indubbiamente un pregio, quello di «aver messo alla fine d'accordo tutti».

Dopo i clamori della vigilia, come d'incanto l'intesa nella maggioranza?
Sul piano politico è quello che conta. L'opposizione mi sembra disorientata. Era abituata al gioco facile che qualsiasi cosa facesse il Governo gli si sparava contro. Invece ora è chiaro a tutti quale sia la situazione reale del Paese.

E qual è, onorevole Visco?
Il nostro è un Paese fragile, debole, che in quindici anni ha perso quote di mercato rispetto al resto d'Europa. È un Paese con tassi di natalità bassi, con la scuola al disastro, Università scadenti, moralità pubblica sotto zero. Le posso garantire che essendo tornato a guidare dopo dieci anni quello che era il ministero delle Finanze ho trovato la situazione notevolmente deteriorata. Ovunque ci sono i segnali di un decadimento del costume pubblico, di possibili connivenze e affarismo. Tutto ciò, quando l'urgenza vera è lavorare per accrescere la produttività del Paese. Governare è difficilissimo. La realtà è che il nostro è un Paese che non ha le risorse che sarebbe necessario avere, che paga troppe tasse non in assoluto né in termini relativi, ma rispetto ai servizi che fornisce. Venti punti di Pil se ne vanno solo per pagare gli interessi e le pensioni, in prevalenza di anzianità. Abbiamo un handicap di cinque punti di Pil rispetto a Francia e Germania. Scontiamo i nostri peccati.

Come si inserisce in questo quadro sconfortante la manovra leggera varata dal Governo?
Quella che abbiamo approvata è una buona Finanziaria. Si avvia più rapidamente la riduzione del debito ma ci sono anche riduzioni fiscali per due miliardi l'anno. Per il 2007 c'è l'una tantum per i redditi bassi. Occorre tener conto che gli spazi per il 2008 erano occupati dalla copertura dei contratti pubblici, dal protocollo sul welfare, dall'aumento dei tassi di interesse. Eppure abbiamo avviato un'operazione importante di redistribuzione del reddito. Avevo proposto un sistema di imposta negativa sugli assegni familiari e detrazioni unificate per gli incapienti, la cosiddetta dote fiscale per i figli. Alla fine in Consiglio dei ministri, non essendoci risorse per tutto, si è deciso di intervenire sull'Ici.

La pressione fiscale del 2007 raggiungerà la cifra record del 43,1 per cento. Non è giunto il momento di ridurla in modo consistente?
L'obiettivo è puntare ad una pressione fiscale stabilmente più bassa di almeno mezzo punto. Ma tagliare le spese è difficile. Dal punto di vista complessivo, questa è una Finanziaria buona, non certo risolutiva. Ce ne vorranno molte per cambiare qualcosa in questo Paese, e non mi riferisco alla situazione dei conti pubblici, che abbiamo riportato sotto controllo.

Parliamo del pacchetto fiscale per le imprese.
Prima di tutto, osservo che liberare dagli oneri contabili 900mila imprese è cosa di non poco conto. Attenzione, però. La forfetizzazione non è un modo per ridurre le tasse, serve a semplificare loro la vita. Devono continuare a dichiarare le tasse vere.

Alla fine per l'Ires, con la riduzione di 5,5 punti dell'aliquota, avete optato per la soluzione alla tedesca. Ma l'ampliamento della base imponibile non rischia di vanificare gli effetti del taglio?
L'operazione è a costo zero per il bilancio dello Stato. Abbiamo optato per la soluzione alla tedesca, con la non trascurabile differenza che in Germania la riduzione del carico fiscale è stata accompagnata da una manovra sui costi delle imprese. Ho cominciato a pensarci dopo il discorso pronunciato ad aprile da Montezemolo. Ho preso la palla al balzo. Bersani ha collaborato, stava ristrutturando gli incentivi. Le misure che abbiamo messo a punto per le imprese sono molto importanti, creeranno un clima più favorevole.

A quanto ammonta l'apporto fornito dal taglio degli incentivi?
Non molto, 1,5 miliardi in tre anni. Il resto viene dall'ampliamento della base imponibile. Per il bilancio pubblico, ribadisco, l'operazione è a parità di gettito. Per le imprese vi sono solo effetti finanziari. Finalmente si fa un'operazione-Paese. È l'intervento più rilevante da alcuni lustri, ed è curioso che si parli magari del tetto agli sconti Ici e non di questa misura che è fondamentale per la competitività. E vi è un'altra misura che non è stata colta, ma che è molto importante.

Quale?
L'Irap sarà interamente e integralmente devoluta alle Regioni. Non vi sarà più la dichiarazione annuale Irap nel modello Unico. Le imprese indicheranno i valori direttamente alla Regione. Questo è vero federalismo.

La manovra, per quel che riguarda il 2008, è composta da 6,35 miliardi di maggior gettito, mentre i risparmi di spesa ammontano a 4,65 miliardi. Non è un po' poco?
Ma ci rendiamo conto che la spesa corrente primaria è stata aumentata di 2,5 punti in cinque anni dalla destra? Questa è la realtà. Se guardiamo alle tendenze di medio periodo, la spesa dei Comuni è cresciuta più della spesa statale, Province e Regioni sono andate in verticale rispetto al trend, e questo è inaccettabile. Vi sono dentro i contratti di secondo livello, gli slittamenti salariali, altro che costi della politica, è la degenerazione di una parte del ceto politico e amministrativo che colgo in giro per l'Italia. E poi gli sprechi...

Già, gli sprechi.
Un esempio? Quando la destra ha rimosso i dirigenti della Consip, che aveva appena cominciato a funzionare, alcuni di loro hanno costituito società di consulenza, utilizzate da Vasco Errani (presidente dell'Emilia-Romagna, ndr) per crearsi una centrale di acquisto. Bene, Errani ha risparmiato tra il 14 e il 18%. La stessa strada la sta seguendo Renato Soru (presidente della Sardegna, ndr). Ciò vuol dire che su 125 miliardi di spesa per acquisto di beni e servizi, compresa la sanità, lo Stato può senza fatica risparmiare il 15-20%. Il fatto che sia impossibile farlo mi riempie di attonita meraviglia. Poi bisogna vigilare sul pubblico impiego, che deve essere ben pagato ma più produttivo e più snello. E poi bisogna rimettere il Paese a produrre. È evidente che tutto ciò non si risolve con i Beppe Grillo di turno.

Com'è andata per i capital gains? Nella bozza d'ingresso a Palazzo Chigi c'era l'aumento al 18,5 per cento.
Forse era una bozza, per così dire, apocrifa. Guardi, è curioso quel che accade. Le agenzie sparano anticipazioni, i ministri vedono le agenzie sui telefonini, si allarmano. Si crea un circuito stravagante. Ma alla fine quel che conta è il testo che esce dal Consiglio dei ministri, che a sua volta deve essere limato e coordinato dal punto di vista tecnico, poi deve essere sottoposto alla firma del Capo dello Stato. Ma è un episodio minore. Per le imprese è tutto chiaro. Per le persone fisiche abbiamo chiarito e comunque questo è un problema che è oggetto di dibattito in altra sede. C'è un Ddl rendite in discussione in Parlamento.

Mercoledì il Senato vota la mozione dell'opposizione sul caso Speciale che chiede la revoca permanente della sua delega per la Guardia di Finanza e la "invita" alle dimissioni. Votazione ad alto rischio. Preoccupato?
Trovo surreale che a fronte di una richiesta di archiviazione da parte della Procura si crei un caso come se vi fosse stata una richiesta di rinvio a giudizio. È il segno del tempo. Non voglio commentare. Vedremo.

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