Scende al 27,5% l'aliquota del prelievo sulle società, ma sul livello effettivo della tassazione a carico delle imprese pesa più di un'incognita. Il taglio di 5,5 punti all'Ires si accompagna, infatti, con un'operazione di ampliamento della base imponibile i cui esiti non sono semplicissimi da decifrare. Le regole sugli ammortamenti anticipati e quelle sulle limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi rappresentano le aree di maggior criticità per le imprese.
Aliquota giù, imponibile su. È intorno a questo delicato equilibrio che si gioca l'intera partita delle novità fiscali annunciate per le imprese. Novità importanti, e non solo per il loro contenuto tecnico, ma soprattutto perché smentiscono una regola più che consolidata per chi ha a che fare con il Fisco: e cioè che le modifiche nascondono sempre complicazioni e, spesso, cattive notizie sul prelievo. Sul primo aspetto, non c'è dubbio che il piano messo a punto dal Governo con il disegno di legge Finanziaria introduca importanti elementi di semplificazione del sistema, abolendo, in un colpo solo, molti istituti mai apprezzati dagli operatori: le deduzioni extra contabili, il pro rata patrimoniale, la norma sulla sottocapitalizzazione, il doppio binario contabile e fiscale per la base imponibile Irap.
E le notizie sul livello del prelievo, sono buone oppure cattive? Qui, naturalmente, il discorso si complica e si presta a riflessioni di segno opposto. La riforma – questo è un punto fermo – offre l'abbattimento di 5,5 punti dell'aliquota Ires, che scende così dal 33 al 27,5 per cento. Ma in cambio pretende un allargamento non trascurabile della base imponibile. Con effetti non difficili da immaginare. Così, il quesito su quale sarà il peso effettivo della tassazione sulle imprese nel 2008 finisce per generare non poche preoccupazioni. La manovra, d'altra parte, è a "saldo zero", vale a dire che insieme a chi pagherà esattamente quanto ha pagato in passato (ipotesi forse più teorica che reale), ci sarà chi dovrà sborsare qualcosa in meno oppure, per contro, qualcosa in più.
È prematuro dire quali imprese – di quali dimensioni e in quali settori – saranno penalizzate e quali ne trarranno benefici. Ma è un fatto che i timori per un aumento del prelievo fiscale, anziché per la sua riduzione, ci sono ed è corretto tenerne conto.
Se, tra le modifiche annunciate, ci si sofferma sulle casistiche che interessano la maggior parte delle imprese, è agevole individuare nelle regole sugli ammortamenti anticipati (e sui leasing) e in quelle sull'indeducibilità degli interessi passivi le aree di maggiore criticità.
Per le imprese che non hanno ammortamenti anticipati o che ne hanno per importi bassi, l'effetto prevalente sarà quello della riduzione dell'aliquota al 27,5 per cento. Al contrario, se gli ammortamenti anticipati o accelerati rappresentano una quota considerevole del reddito di impresa, allora, l'imponibile sarà molto più alto, e, pur con un'aliquota inferiore, genererà un debito di imposta maggiore.
Si può dimostrare matematicamente che le imposte aumenteranno ogni volta che gli ammortamenti anticipati saranno maggiori del 16,7% (un sesto) dell'imponibile: si tratta di una situazione sicuramente diffusa, specialmente in alcuni settori produttivi e in aziende in crescita. Ma una valutazione complessiva deve anche tenere conto che l'indeducibilità degli ammortamenti anticipati e accelerati, per quanto possa generare un effetto di cassa immediato negativo (gravoso per le imprese), è una misura temporanea. Se si ragiona in un orizzonte di media durata, il risultato è che l'imponibile è rimasto lo stesso (è solo stata stabilizzata la sua ripartizione temporale), ma le imposte sono diminuite per effetto della riduzione dell'aliquota. D'altro canto, se ci si concentra sull'effetto immediato, può essere giustificata la preoccupazione dell'impresa che ha effettuato massicci investimenti, contando di "finanziarli" anche attraverso una temporanea riduzione delle imposte generata dagli ammortamenti anticipati, e che ora si trova, invece, a dover "finanziare" la manovra, dato che finisce per rientrare nel gruppo dei soggetti che nei primi anni dovranno pagare più Ires.
Ancora più complesso è il caso interessi passivi. Su questo aspetto è evidente l'uso della leva fiscale come indirizzo alle imprese: chi è fortemente indebitato e ha un modesto valore netto della produzione (il risultato operativo lordo) subirà un incremento del prelievo. Il modello concettuale è mutuato dall'Irap: ci saranno casi di aziende con modesti utili che, per effetto dell'indeducibilità degli interessi, si troveranno con un imponibile aumentato, e che quindi pagheranno maggiori imposte e magari chiuderanno in perdita il conto economico. Sono quindi ipotizzabili le stesse obiezioni mosse all'imposta regionale: in particolare, aumentare il carico fiscale delle imprese già appesantite dagli interessi passivi (rendendoli indeducibili) può contribuire a mettere le aziende in crisi o ad acuire una crisi già esistente.
Anche in questo caso il disegno di legge prevede un correttivo, che però può diventare efficace solo a particolari condizioni e comunque solo con il passare del tempo: la quota non dedotta degli interessi potrà essere riportata in avanti per 5 periodi (10 per i primi tre anni di applicazione) se negli esercizi successivi vi sarà capienza per la deduzione,e cioè e il rapporto tra interessi passivi e risultato operativo sarà sceso al di sotto del 30 per cento. Quindi il messaggio del Fisco è chiaro: chi riuscirà a ricapitalizzarsi e a ridurre l'indebitamento recupererà le deduzioni negate in passato. È in questo modo che è stata riscritta la regola sulla thin capitalization: si è passati dal tecnicismo esasperato a un impianto "filosofico". Peccato, forse, non aver invece ripreso il filone delle norme premianti (la Dit) per le imprese che aumentano la dotazione di mezzi propri.