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Statali: ancora l'anno zero per mobilità e produttività

di Giorgio Pogliotti

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5 ottobre 2007

Un rigore iniziale che lascia il posto a l lassismo. Trattamenti retributivi a pioggia che premiano i nullafacenti, penalizzando chi merita. Propositi di riforma che si scontrano con resistenze corporative. Per il pubblico impiego questa è la regola, anche perché tre milioni e mezzo di voti fanno gola ad entrambi gli schieramenti. È successo con il centro-destra, e sta accadendo con il centro-sinistra, che si propone di modificare l'organizzazione del lavoro, introducendo quei criteri di flessibilità e meritocrazia, annunciati anche dai governi precedenti, ma rimasti lettera morta.
Per il 2006-2007 gli aumenti a regime saranno del 4,85%, mentre per il biennio successivo c'è la sola vacanza contrattuale, come accadde con Berlusconi che stanziò circa 8 euro per dipendente. Ma vedendo come è andata – sotto la minaccia degli scioperi il centro-sinistra ha aperto i cordoni della borsa oltre l'inflazione – questo metodo non sembra dar buoni frutti. Il biennio 2002-2003 si chiuse con la mediazione del vicepremier Gianfranco Fini che raddoppiò le disponibilità di bilancio, concedendo quel 5,56% di aumento contestato dalla Corte dei Conti. Anche per il 2004-2005 con l'ex ministro Mario Baccini arrivarono aumenti del 5,01%, legati a un piano di mobilità rimasto sulla carta. Non pare in controtendenza il Memorandum siglato da Governo e sindacati, che nelle ultime tre righe richiama proprio il metodo adottato dal governo Berlusconi.
Ad aggravare la situazione contribuisce, in virtù del blocco del turnover - vero e proprio groviera con migliaia di deroghe - l'invecchiamento della pubblica amministrazione (alle agenzie fiscali, alla presidenza del consiglio, nelle università e in magistratura l'età media supera i 50 anni). Ma come far crescere la qualità se la parola concorsi è ancora bandita e si punta sulle stabilizzazioni di massa di personale che spesso non presenta – per il livello di istruzione – i requisiti che servono all'amministrazione? E come colmare le carenze se non si riesce a spostare un dipendente neanche all'interno della stessa amministrazione? Nei ministeri la mobilità è praticamente inesistente: meno del 2% ha cambiato amministrazione una volta (quasi nessuno ha fatto due spostamenti in sei anni).
«Non siamo dei privilegiati, l'85% dei lavoratori che rappresento guadagnano tra i 1.000 e i 1.200 euro al mese», protesta un sindacalista. Ma in cambio di quali prestazioni i pubblici dipendenti ricevono questo salario? E soprattutto perché non vengono quasi mai premiati il risultato e la produttività? Sul banco degli imputati finisce quel patto tacito, in vigore da decenni, fondato sullo scambio tra salari bassi e bassa qualità delle prestazioni. Gli effetti di questo modello emergono anche dal dato sul tasso di assenteismo che tra i pubblici dipendenti supera del 54% quello dei privati (al ministero della Difesa le assenze raggiungono il record dei 31,5 giorni all'anno e nella sanità i 27 giorni).
Un ruolo decisivo nel tener lontani il merito e la produttività è giocato dalla contrattazione integrativa: gli aumenti – distribuiti secondo l'anzianità di servizio più che sulla valutazione – vengono assegnati sulla base delle consistenza di fondi di amministrazione. Il paradosso, spiega la Corte dei Conti, è che i fondi più ricchi «per disposizioni contrattuali o anche per applicazione di tariffe più elevate nei servizi» fruttano i premi di produttività più alti. I premi sono quindi slegati dalla produttività effettivamente resa, come indicato dalla riforma del lavoro pubblico del 1993. La spesa aumenta anche in caso di riduzione dei dipendenti, visto che le stesse risorse vengono distribuite tra un minor numero di persone. Anche il gettito della retribuzione individuale di anzianità, al momento della cessazione dal servizio, non si traduce in una riduzione di stanziamenti, ma viene distribuito tra chi resta. La contrattazione integrativa, peraltro, incide negativamente sulla contrattazione nazionale, poiché aumenta la base utilizzata per calcolare i successivi incrementi. E per i magistrati contabili «rappresenta la principale causa dell'andamento incontrollato della spesa del personale».

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