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Un'occasione sprecata per il talento Riccò
di Dario Ceccarelli Un week end ciclistico all'insegna degli autodromi e dei velocisti; delle fughe che tagliano la classifica e delle polemiche al vetriolo. In particolare, all'arrivo di Fiorano, tiene banco quella che vede come protagonista il rampante Riccardo Riccò costretto a rinunciare a una fuga che, probabilmente, gli avrebbe permesso di conquistare la maglia rosa e di dare una fortissima spallata a questo Giro d'Italia ancora in attesa di un vero leader carismatico. Riccò, compagno di Simoni nella Saunier Duval, dopo 24 chilometri si ritrova in una fuga di una trentina di corridori che guadagna rapidamente vantaggio sul gruppo maglia rosa. Un'avanguardia ben rappresentata con il campione del mondo Paolo Bettini, poi secondo nello sprint finale di Fiorano, e numerosi sottoufficiali, come Noè, Bruseghin, Cioni, Sella, Nocentini, Spezialetti, Brutt, Rubiera. Tutta gente di mestiere che ora, con quattro minuti di vantaggio sui capitani, può creare parecchi grattacapi. Ebbene in questa fuga, c'è anche Riccardo Riccò, giovane emergente, che avrebbe dato sei mesi di stipendio per vincere a Fiorano, terra di motori e della Ferrari ma anche di casa sua, essendo nato a Formigine, un piccolo centro poco distante. Riccò è giovane, esuberante, perfino spaccone. Un romagnolo sanguigno che non le manda dire. In gruppo infatti non lo amano. E i compagni di fuga gli fanno subito capire che uno come lui, in aria di classifica, non è benvoluto in questa avventura. Che vuole costui? Non sei in libera uscita come noi! Torna con i capitani! E così comincia la sarabanda. «Non c'era accordo», racconta Riccò. «Mi facevano dei buchi. Davo fastidio... Poi il mio direttore sportivo, Algeri, mi ha detto di non tirare. Che tanto il mio capitano è Simoni... Insomma alla fine mi sono rialzato. Ho sbagliato, ma è andata così». Questa la versione di Riccò, al traguardo nero come l'inchiostro. Ma Simoni, il suo capitano, dice cose pesanti: «Riccò ha fatto tutto da solo. Chiedete a lui. Con questa fuga poteva far saltare il Giro. Ma già così sarà dura per tutti». Insomma, come si può capire, l'aria è avvelenata. Lo stesso Algeri, il direttore sportivo, chiarisce e non chiarisce. «Con la radiolina non lo sentivo più. Prima gli avevo detto di stare nella fuga senza tirare. Poi si è trovato da solo là in mezzo... Bisogna capire, è giovane focoso, chiaro che a qualcuno non piace. I tipi come lui tolgono spazio agli altri...». Il quadro allora si delinea. Tra gli "avvertimenti" dei compagni di fuga e la paura di creare un nuovo "caso" con Simoni, come era già successo a Cunego nel 2004, Riccò preferisce battere in ritirata per non trovarsi in mezzo a un nuovo tormentone. Troppo fedele o poco coraggioso? Di sicuro ha sprecato un'ottima chance. Al traguardo lo conferma anche Stefano Garzelli, corridore esperto e vincitore del Giro 2000. «Riccò ha perso l'occasione della vita. Avrebbe guadagnato minuti preziosi e in più la sua squadra non si sarebbe sfiancata per recuperare sui fuggitivi». Parole sante che sicuramente condivide anche lo stesso Riccò, rientrato nei ranghi per non irritare le gerarchie della squadra. Avrebbe dovuto osare, non l'ha fatto e ora si è pentito. Ma avrà altre occasioni. Soprattutto se Simoni continua a galleggiare nelle retrovie. Alla fine i fuggitivi arrivano al traguardo con più di quattro minuti di vantaggio sugli inseguitori. Non abbastanza per strappare la maglia rosa all'ingegner Pinotti, ma sufficienti a dare una robusta scremata alla classifica. Per dirne una, il primo big, Danilo Di Luca, è 17° con 4' e 12" di ritardo. Per recuperarli ci sarà da ridere. Già martedì, con il traguardo in salita di Nostra Signora della Guardia, saranno fuochi d'artificio. Bello l'arrivo di Fiorano. Un altro sprint lungo, infinito, come quello del Mugello di sabato vinto da Petacchi. Qui invece è Sella a prendere il largo a circa un chilometro. Sella guadagna cento metri ma Bettini, con un recupero potente, lo rimonta. Bravo Paolino, si dice il campione del mondo. Ma non fa i conti con Kurt Arvesen, un cavallone norvegese già vincitore nel 2003 a Faenza, che lo fa secco negli ultimi cinquanta metri dopo avergli succhiato la ruota. Il povero Bettini, come si intuisce dal labbiale, lo manda a quel paese. In Norvegia, appunto. |