Il trionfo di Di Luca, il cacciatore di classiche che ha superato i suoi limiti
di Dario Ceccarelli

Finisce così, con un tifo da stadio, il novantesimo giro d'Italia. Doveva essere quello della rinascita e della ricostruzione, dopo le devastazioni del doping. Un Giro curiosamente dedicato a Garibaldi, e altrettanto curiosamente vinto dal più meridionale dei vincitori, quasi in omaggio a colui che più di tutti si prodigò per l'unificazione dell'Italia.
"Io sono felice di essere un terrone, dice Danilo Di Luca, quasi enfatizzando sulla sua origine. Una volta Milano era accogliente con i meridionali. Gli dava lavoro, gli offriva una casa. Adesso, dopo averli sdoganati, è quasi indifferente alla sua origine. Magari fosse un tunisino...
"Lo dedico al mio Abruzzo, grida Di Luca. Io ci ho sempre creduto alla vittoria. Corro da quando ho otto anni, e già allora sognavo la maglia rosa". E' un meridonale atipico, Danilo. In corsa, e anche nelle dichiarazioni, è sempre molto lucido, quasi freddo. Non a caso è soprannominato killer. Il Giro l'ha vinto come se giocasse a scacchi. Prima accumulando secondi nelle salite del centrosud, poi difendendosi con autorità sulle Alpi. "Mi sono sentito il Giro in tasca dopo la vittoria di Briançon. Più avanti, sullo Zoncolan, mi sono limitato a controllare gli attacchi. Anche nella cronometro ero tranquillo. Chi ha le gambe, la differenza la fa poi con la testa...".
Una bella casa a Pescara, con la moglie Valentina, appassionato di auto veloci, Danilo arriva a 31 anni alla maglia rosa. Diciamo la verità: fino a un mese fa, forse non ci credeva neppure lui. Forte nelle classiche, Di Luca ha sempre dato l'impressione - e non solo quella - che gli mancasse qualcosa per una grande corsa a tappe. Questa volta, invece, ha superato i suoi limiti: cioè la resistenza alla fatica, e la capacità di tenere nelle lunghe salite alpine. Gli va dato atto che ci ha sempre creduto: "il Giro è una cosa speciale per un italiano, la cosa più bella che ci possa essere. La Liegi? Grande, ma non paragonabile con una maglia rosa. Sapevo che era nelle mie corde, anche alla Liquigas lo sapevano. Infatti mi hanno sempre dato fiducia. All'inizio abbiamo fatto solo un po' di pretattica. Insomma, abbiamo vinto già da questo inverno....
Cacciatore di classiche (Lombardia, Amstel Gold Race, Freccia Vallone, Paesi Baschi), Di Luca all'età di 31 anni arriva anche sul podio più alto del Giro d'Italia. Dice però di avere ancora una certa allergia al Tour: "Sì, non mi piace, troppi spostamenti, troppe tensioni. Però è la corsa più importante del mondo. E quindi devo pensarci. Ma ho tempo, ora lasciatemi godere questo successo, al massimo posso fare un pensierino al prossimo mondiale a Stoccarda, non è adatto alle mie caratteristiche, però qualcosa si può inventare...."
Pigro, dormiglione, ritardatario. Si autodefinisce così. Però al momento opportuno diventa anche il suo contrario: dinamico, mattiniero, puntuale. Poi ha qualche hobby, robe così giusto per soddisfare le curiosità dei cronisti: suona la batteria insieme al fratello Aldo, è impegnato nel volontariato. Infine gli va dato atto, nonostante un'ombra sia arrivata fino a lui, di aver mantenuto un atteggiamento misurato sulla questione del doping e di un suo eventuale coinvolgimento nella inchiesta Oil For Drug. "Non temo nulla, risponde. Se mi chiamano andrò a testimoniare".