La competizione fra attori sociali è ormai caratteristica delle relazioni industriali italiane. Nella recente vicenda dei contratti a termine ci sono state divisioni sul fronte datoriale e su quello sindacale, mentre la vertenza dei metalmeccanici si è conclusa non solo con un accordo separato ma anche con uno sciopero intersindacale, cioè non tanto diretto contro l'impresa quanto concepito come forma di protesta nei confronti dei sindacati che hanno firmato con l'intento di delegittimarne la rappresentatività.

Il processo di modernizzazione delle nostre relazioni industriali procede dunque in modo traumatico ed è forse questo un prezzo comunque da pagare, almeno in questa fase. Ma bisogna anche riflettere sulle possibili regole che potranno essere utili per governare a regime un assetto di rapporti collettivi dove gli attori sociali siano frequentemente in concorrenza tra loro.

L'applicazione del nuovo contratto dei metalmeccanici non dovrebbe, da un punto di vista strettamente giuridico, sollevare troppi problemi. A meno che singoli lavoratori dissenzienti non manifestino in modo formale la volontà di rinunciare ai nuovi aumenti. É invece più probabile che si surriscaldi il clima in alcune aziende dove la componente Fiom delle Rsu farà valere il proprio dissenso. A quel punto si manifesterà in tutta la sua spettacolarità la fragilità di un sistema di relazioni industriali costruito sull'unità di azione delle tre maggiori confederazioni. É quindi necessario pensare fin d'ora a scenari evolutivi che evitino il dilagare di un conflitto senza regole.

L'esperienza comparata offre varie soluzioni in proposito. Si può intervenire sul sistema della rappresentanza, puntando ad una soluzione prevista per legge in senso maggioritario (Usa e, recentemente, Regno Unito) o proporzionale, con il vincolo di raggiungere maggioranze qualificate negli organismi unitari (Francia, Spagna). É anche possibile agire facendo perno su meccanismi di estensione erga omnes del contratto collettivo, rimettendosi al giudizio discrezionale del ministro del Lavoro (Francia e Germania). É molto interessante il modello tedesco, laddove prevede l'efficacia generalizzata del contratto collettivo stipulato da un'associazione datoriale che organizzi un numero di imprese tale a sua volta da comprendere la maggioranza dei dipendenti destinatari finali del negoziato stesso.

Tutti questi meccanismi perseguono una finalità comune, quella di evitare scioperi originati dalla contrapposizione fra organizzazioni sindacali in concorrenza tra loro più che in conflitto con la controparte datoriale. Scioperi di questo tipo sono peraltro vietati in Nord America e nel Regno Unito in quanto si ritiene che non possano rientrare nella nozione generale di conflitto industriale. Anche in Francia, dove pure il rapporto fra Cgt e Cfdt ricorda i toni esasperati che oggi contrappongono Cgil e Cisl, le regole del gioco sono chiare: il contratto aziendale vincola tutti i lavoratori anche se firmato da un solo sindacato, mentre l'altro può opporre il veto solo se ha conquistato alle elezioni dei rappresentanti la maggioranza assoluta.

Difficile prevedere quali scenari regolatori si potrebbero evolvere in Italia. La Cgil sembra insistere su una legge che regoli le Rsu ma questa soluzione è stata forse irrimediabilmente bruciata dalle evidenti incostituzionalità di cui soffriva la proposta discussa durante la scorsa legislatura. Forse sarebbe più utile pensare al referendum su cui la stessa Cgil ha fatto interessanti aperture, almeno per quanto riguarda lo scioperi nei trasporti. Ma par di capire che la Cisl non condividerà quest'impostazione, fedele alla soluzione contrattualista che rafforzi le Rsu senza agitare troppo le acque dei lavoratori rappresentati.
Ormai la revisione del protocollo 23 luglio 1993 (e del Patto di Natale 1998) appare inevitabile. Troppi problemi si stanno accumulando per non dover concludere che è ora di metter mano alla nostra "costituzione delle relazioni industriali". Occorre un nuovo patto costituzionale fra le parti sociali che escluda il ricorso allo sciopero per dimostrare il livello di rappresentatività dei singoli attori. Occorre trovare meccanismi di rilevazione del consenso (o dissenso) meno traumatici. Anche una nuova intesa concertativa potrebbe essere la fonte più opportuna per stabilire poche regole: nessun sindacato ha diritto di veto, ma tutti i sindacati devono rendere conto della propria rappresentatività. Non dimentichiamo che con il referendum di qualche hanno fa gli italiani hanno manifestato contrarietà a presumere della rappresentatività dei sindacati confederali.