Per la Società europea (Se) è quasi fatta, anche se non è detta l'ultima parola. Proprio sulla delicata questione della partecipazione dei lavoratori il Parlamento europeo ha infatti concesso il proprio nulla-osta, non rinunciando però a proporre alcune modifiche al compromesso raggiunto in extremis a Nizza nel dicembre scorso.

Il Consiglio (cioè i ministri del Lavoro degli Stati membri) deciderà l'8 ottobre se accettare almeno qualcuna di queste proposte o (cosa possibile in questo caso) ignorarle. In ogni caso, a meno di spettacolari incidenti di percorso, dovremmo essere alla vigilia del varo di un provvedimento atteso da quasi trent'anni.

Per la verità molti non avvertivano proprio il bisogno di una normativa che, come condizione per costituire una Se, imponesse di concordare con i rappresentanti dei lavoratori un regime di partecipazione. Tanto che la Spagna ha ottenuto la clausola dell'opting-out: se uno Stato membro è contrario a questa parte della direttiva (condizione a sua volta per applicare il regolamento che disciplina i profili di diritto societario: un vero rompicapo) può non trasporla.

Una autentica novità: si afferma la logica delle direttive a geometria variabile. Una sorta di federalismo comunitario assai interessante anche in vista del federalismo in stile italiano che dovremmo costruire nei prossimi mesi: cosa farà il nostro Governo? Nella scorsa legislatura il Governo Prodi fu contrario a questo profilo partecipativo della Se, mentre D'Alema e Amato dettero via libera.

Appare probabile che si propenderà per l'ipotesi di trasporre la direttiva, se non altro per non irritare inutilmente i sindacati. Quali le conseguenze? Nell'intricato groviglio delle norme la risposta è semplice: dipende tutto da quale nazionalità possiederà l'impresa straniera che si fonderà con quella italiana per costruire una Se. Se il partner straniero avrà sede in Germania, il nuovo management italo-tedesco dovrà negoziare con una delegazione altrettanto mista di rappresentanti dei lavoratori le condizioni della partecipazione. E in questo caso sarà pressoché inevitabile che il modello della Se diverrà quello della cogestione.

Qualora invece le parti della costituenda Se non trovino un accordo, tutto dipende da quanto disporrà la legge nazionale di trasposizione. Facile immaginare cosa disporrà quella tedesca: nel caso italiano non è difficile prevedere una regolazione legislativa dei diritti di informazione e consultazione, assistita da sanzioni (quali?) in caso di inosservanza.
Dunque il regime di partecipazione dei lavoratori di una Se potrà essere regolato in 15 modi diversi nei vari Stati membri. La scelta del partner (e, soprattutto, della sede principale dove localizzare la Se) sarà certamente influenzata anche da questo elemento. In alcuni Stati (certamente la Spagna) si potrà dare vita a una Se senza dover fare accordi con i rappresentanti dei lavoratori in tema di partecipaziaone. In altri (per esempio il Regno Unito) i diritti di informazione e consultazione saranno regolati in maniera molto blanda.

Anche questo diverrà probabilmente un fattore competitivo per attrarre investimenti sul proprio territorio nazionale.

Resta il fatto che la direttiva sulla Se costituisce (dopo quella sui Comitati aziendali europei) un modello di <contrattazione collettiva per obiettivi>. Il precetto del legislatore comunitario è semplice: negoziate fra di voi, parti sociali, la partecipazione. Altrimenti si applicheranno le <prescrizioni minime>del legislatore nazionale.

Il Governo italiano ben farebbe ad assecondare questa metodologia anche nelle questioni interne, superando tendenze iper-regolative del passato. I sindacati hanno una insperata occasione per portare i temi della partecipazione al centro del confronto con gli imprenditori che forse finalmente si convinceranno che le novità (buone o cattive che siano) vengono dall'Europa.