Guidi: firmiamo con chi ci sta

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9 marzo 2001
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Il negoziato sul contratto a termine sta registrando comprensibili difficoltà. In fondo assumere per un periodo specifico significa decidere in anticipo che un dipendente dovrà lasciare il suo posto di lavoro, a meno che l'imprenditore non lo riconfermi.

Si tratta di una prospettiva non del tutto appagante, anche se per molti soggetti si tratta di una grande opportunità di entrare (o rientrare) nel mercato del lavoro. Non c'è quindi da stupirsi che si registrino divisioni e attriti. Ma bisogna al tempo stesso fare uno sforzo per comprendere che la trasposizione di una direttiva comunitaria richiede molta esperienza comparata. Bisogna guardare alla situazione degli altri Paesi e trarre utili insegnamenti.

Diciamo innanzitutto che, una volta tanto, non c'è (troppa) fretta. Solo la Germania ha finora legiferato sul contratto a termine in ossequio agli orientamenti comunitari. Tutti gli altri Stati membri stanno ancora considerando come fare, soprattutto per attuare le due principali indicazioni che discendono dalla direttiva: 1) il datore di lavoro deve motivare il ricorso all'assunzione a termine; 2) il datore di lavoro non deve abusare di questa tipologia contrattuale.
Quanto alla prima questione, cioè quando si può stipulare il contratto a termine, esistono almeno tre modelli. In Gran Bretagna e nei Paesi Bassi è del tutto sconosciuto il concetto di causali per le assunzioni a termine, sia ai sensi della legislazione, sia come rinvio alla contrattazione collettiva.

I risultati sul piano occupazionale sono sotto gli occhi di tutti. Esiste poi un secondo modello costituito da tutti quei Paesi continentali dell'Europa comunitaria dove la legge richiede che l'assunzione temporanea sia collegata alla ricorrenza di ipotesi (di norma, assai generiche) previste in via generale dalla legge. In tutti questi Paesi (ed in particolare in Francia) è interdetto alla contrattazione collettiva modificare in alcun modo la previsione normativa. Infine esiste il modello italiano/spagnolo dove l'autonomia delle parti sociali è autorizzata a prevedere ulteriori ipotesi rispetto a quelle previste dalla legge. É facile prevedere che i due modelli estremi (Regno Unito e Olanda, da un lato, Italia e Spagna, dall'altro) dovranno tener conto che altri undici Stati membri dell'Unione europea hanno già, anticipatamente, adottato il principio sancito dalla direttiva comuntaria. In esistere ancora su un rinvio alla contrattazione collettiva quanto alle causali è quindi una tendenza contro-corrente nell'esperienza comparata.

Veniamo ora al divieto di abuso, se si parla in proposito di rinnovi e/o proroghe dell'assunzione a termine, tranne il Regno Unito tutti i Paesi comunitari hanno regole abbastanza simili o comunque assai comparabili. Del tutto italiana è invece la disciplina sulle quote massime, cioè il regime riguardante un tetto massimo di contratti a termine, proporzionale al numero di dipendenti assunti in pianta stabile. É quindi opportuno che le parti sociali nostrane riflettano attentamente sulla conservazione di questo genere di restrizioni, auspicabilmente mitigandone la sopravvivenza prevedendo alcune esclusioni che permettano di valorizzare appieno le potenzialità occupazionali dello stesso contratto a termine. Ricordiamoci sempre che la direttiva Ue raccomanda di facilitare, non di ostacolare, questa tipologia contrattuale.

9 marzo 2001
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