Il Governo sta valutando in queste ore una nuova proposta per completare la delega sul mercato del lavoro. Nel frastuono delle polemiche capita di dimenticarsi di alcune idee che solo poche settimane fa il Governo aveva prospettato nel Libro Bianco. Agli attori che si affaticano alla ricerca di una soluzione di comune gradimento, suggeriamo la rilettura di alcune pagine che sembrarono assai condivise (tranne ovviamente che dalla Cgil).

Il Governo ben farebbe a insistere, a prescindere dalla soluzione che verrà in concreto adottata, su una formula-chiave: rimodulazione delle tutele. Si tratta cioè di articolare meglio gli interventi a beneficio di coloro che sono disoccupati e a tutela di quanti abbiano invece già trovato occupazione, rivedendo all'interno di questo secondo gruppo le tecniche di garanzia a seconda della tipologia contrattuale adottata o di altri criteri, come l'anzianità di servizio. Questa impostazione a sua volta implica innanzitutto la riforma (e non un semplice riordino) del sistema degli ammortizzatori sociali, uno degli obiettivi più spettacolarmente falliti nel corso della passata legislatura. Non si può davvero prescindere dall'apprestare efficaci tutele del reddito a favore di quanti non siano altrimenti garantiti attraverso efficienti servizi per l'impiego. Non solo, ma esistono fasce di lavoratori che meritano misure ben più efficaci per intervenire allorché la loro occupazione sia in pericolo. Non si tratta solo degli occupati nelle unità minori ma anche di quanti rischiano poco dopo i 50 anni di scivolare nell'emarginazione sociale a seguito di ristrutturazioni o riorganizzazioni aziendali. Passare da una logica di misure passive a una strategia di welfare to work, coinvolgendo il lavoratore in difficoltà occupazionale nella logica di corresponsabilizzazione alla ricerca di un nuovo posto di lavoro, sembra una scelta obbligata.

Così pure appare consigliabile intraprendere con coraggio la strada dello "Statuto dei lavori", già fatta propria ufficialmente dal Governo fin dal Libro Bianco, ancorché poi rinviata a una fase più inoltrata della presente legislatura. Converrebbe a questo punto accelerare la progettazione di questo strumento che completerebbe convenientemente le altre norme già presenti nella delega 848 sul mercato del lavoro. Si tratta infatti di procedere a una revisione totale della legislazione sul rapporto e sul mercato del lavoro, realizzando alla fine un testo unico che rappresenti per gli operatori uno strumento agile e chiaro di gestione delle risorse umane. Lo "Statuto dei lavori" dovrebbe finalmente dare all'Italia nuove tecniche per regolare tutti i tipi di lavori, anche quelli più atipici, rivedendo vecchie norme non più in sintonia con la moderna organizzazione del lavoro e prevedendone delle nuove capaci di governare i mestieri emergenti nella società basata sulla conoscenza.

L'Europa sarebbe sicuramente soddisfatta se la delega sul mercato del lavoro fosse arricchita in questo modo. Non a caso fu proprio un documento comunitario intitolato "Oltre l'occupazione" (il rapporto Supjot del 1998) a suggerire le tecniche di tutela sul mercato (oltre che sul rapporto) che costituiscono l'anima del progetto "Statuto dei lavori" descritto nel Libro Bianco. Solo alla fine, quando lo "Statuto dei lavori" sarà stato scritto, solo allora sapremo chi ha vinto e chi ha perso in questo confronto acceso fra Governo e parti sociali. Speriamo che vinca soprattutto un'alleanza fra istituzioni e attori sociali che punti alla modernizzazione. Altrimenti sarebbe una sconfitta per tutti.