Il Piano nazionale per l'occupazione guarda al passato più che al futuro. L'aspettativa è che ogni Governo offra un quadro attendibile della situazione interna in relazione agli obblighi di modernizzazione del mercato del lavoro imposti dalle linee guida per l'occupazione concordate a livello Comunitario. Il documento italiano sembra davvero deludere le attese, almeno per quanto concerne i due punti chiave dell'intero "processo di Lussemburgo": l'occupabilità e l'adattabilità.
Per quanto riguarda il primo punto occorre dimostrare da parte dei Governi che stanno adottando misure per attuare una strategia preventiva, transitando da una logica reattiva e assistenziale verso un approccio dinamico e preventivo nei confronti della disoccupazione, specie quella di lunga durata. A questo proposito il Governo italiano dichiara candidamente che . Non solo, ma si riconferma , il che equivale a dire che il sistema pubblico di collocamento dovrebbe assicurare i servizi di base entro il 2003, sviluppandosi poi (?) entro il 2006. Ancora una volta l'Italia dimostra di non avere compreso la gravità del proprio ritardo, davvero drammatico considerando la situazione del Mezzogiorno.

La Commissione e il Consiglio Ue hanno già richiamato l'anno scorso il nostro Paese a un maggiore impegno. Ma il rimprovero, pur autorevole, non sembra aver prodotto alcun effetto. Nel Nap Italia si fa riferimento a una confusa attività di programmazione Stato-Regioni per rendere operativo il decentramento istituzionale dei servizi pubblici per l'impiego. Un ritornello che viene ripetuto ogni anno, fin dal 1998, quando iniziò questo difficile esercizio di confronto comunitario. Il nostro Nap non parla invece dell'unica grande riforma attuata con il "pacchetto Treu": il lavoro interinale. Dimenticando di riferire circa il ruolo delle agenzie di lavoro temporaneo, si trascura di valorizzare il vero (e unico) canale organizzato di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Insomma si guarda al passato, quasi che i servizi pubblici all'impiego agissero ancora in regime di monopolio, non capendo che il ruolo dei privati è assolutamente fondamentale. Sembra quasi che si abbia timore di riconoscere il successo del lavoro interinale.

Nell'area dell'adattabilità, il documento non consentirà alla Commissione e agli altri Stati membri di comprendere molto della recente evoluzione del caso Italia con riferimento alle forme flessibili di lavoro. Gli innegabili successi del lavoro interinale sono dunque secretati. Neppure una parola è dedicata alla trasposizione della direttiva sul contratto a termine. Eppure nel momento in cui il Nap è stato approvato dal Consiglio dei ministri, il ministro del Lavoro aveva sicuramente ricevuto numerose lettere da vari attori sociali che lo informavano sulla convergenza raggiunta in proposito da molte organizzazioni. Il silenzio del Governo in proposito è incomprensibile.

Non mancano tuttavia sorprese. Come il riferimento al lavoro a chiamata che sarebbe stato introdotto secondo il Governo, nel quadro delle recenti riforme sul part-time. Stiano tranquilli i nostri partner europei: il job on call in Italia non è ancora legalizzato. Abbiamo solo inventato una specie di "part-time flessibile" con un "diritto di pentimento" del lavoratore. Un istituto esotico del diritto del lavoro, forse interessante per i cultori di diritto penale. Infine un cenno alle collaborazioni coordinate e continuative. L'unica cosa comprensibile del documento in proposito è che si è sviluppata un'attività negoziale, descritta peraltro in termini generici. Cosa intende fare il Governo per il futuro, rimane un mistero.

Il Nap dovrebbe essere, al tempo stesso, una sede di valutazione delle politiche adottate in passato di lancio di iniziative future. Peccato che l'Italia abbia perso l'ennesima occasione per presentarsi in Europa valorizzando quel che si è fatto, dando anche l'impressione di non avere una chiara visione circa il proprio futuro.