Non è una questione di orgoglio nazionale ferito, ma si resta davvero sgomenti leggendo la prima bozza della Commissione europea che in autunno confluirà nel rapporto congiunto sull'occupazione. In questo documento l'Italia è trattata come l'ultimo della classe in Europa. Secondo Bruxelles l'unica cosa interessante fatta in Italia in tema di mercato del lavoro nel corso del 2000 è il Patto di Milano. Ben vengano dunque le proposte del Governo che (secondo le anticipazioni di ieri del Sole-24 Ore) verranno presentate lunedì nel Dpef. Occorre al più presto riprendere il filo della modernizzazione del nostro mercato del lavoro che si è prematuramente spezzato dopo il pacchetto Treu nella scorsa legislatura.

Il nuovo Governo sembra aver preso coscienza che esistono priorità che possono essere affrontate subito. É giusto quindi consentire alle società di lavoro interinale di esercitare anche il collocamento: anzi, tutti i soggetti privati - purché autorizzati con procedure snelle da affidare alle Regioni - dovrebbero poter contribuire all'incrocio fra domanda e offerta.
Ma al tempo stesso non possiamo dimenticare un'eredità drammatica ricevuta dalla passata legislatura: i peggiori servizi pubblici per l'impiego di Europa. La Commissione europea ora dice che anche la Grecia fa di più e meglio di noi. Governo e Regioni devono, in proposito, fare le prove generali del federalismo solidale richiamato dal Capo dello Stato. Ma sembra che il ministro del Lavoro abbia in mente progetti di lungo periodo e che intenda rilanciare da settembre un confronto concertativo che punti a innovare ben più in profondità.

Del resto, come incessantemente ci ammoniscono le autorità comunitarie, abbiamo bisogno di riforme strutturali. Sulla flessibilità in entrata occorre fare ancora molto: le collaborazioni coordinate e continuative devono uscire da una sorta di limbo giuridico, i giovani hanno bisogno di lavori anche senza contratti (come lo stage) per entrare gradualmente nel mondo del lavoro, gli anziani (sempre più numerosi) devono restare attivi e pesare meno sul nostro gracile sistema pensionistico.

Il ministro del Lavoro vorrebbe discutere anche la revisione della disciplina dei licenziamenti individuali, o meglio dell'accertamento della fondatezza del recesso e delle conseguenze in caso di sua illegittimità. Maroni si trova in buona compagnia: anche il Commissario europeo Anna Diamantopoulou pensa che sia venuto il momento di parlarne in sede comunitaria. Dopo la Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza nessuno può mettere in dubbio il principio per cui il licenziamento deve essere giustificato. Niente a che vedere dunque con l'employment at will degli Stati Uniti. Ma bisogna pure ragionare su come superare un sistema come la reintegrazione che non interessa neppure la maggior parte dei lavoratori licenziati. Dopo tutto, proposte correttive che fanno leva su conciliazione e arbitrato sono state avanzate nella scorsa legislatura anche da esponenti che oggi sono nella Margherita.

É tempo di riprendere le fila di un metodo concertativo che un Governo di legislatura può avviare con credibilità. Ci sarà bisogno di una rivisitazione globale di tutto l'ordinamento giuridico del lavoro. Se il nuovo articolo 117 della Costituzione verrà confermato dal referendum, le Regioni potranno legiferare anche in questa materia. Il Governo dovrà allora avere una strategia di federalismo sul lavoro per disegnare una legislazione cornice. Ed è anche di questo dovrà investire le parti sociali. Se non sarà in grado di farlo, se il federalismo non sarà concertato e quindi reso solidale, il Paese rischierà di scivolare nel baratro della disgregazione sociale.