L'Unione europea ha invitato per la quarta volta l'Italia a riformare profondamente il proprio mercato del lavoro ed in questa occasione ha indicato anche i criteri di qualità di cui il nostro Governo dovrà tenere conto. Mentre il Senato inizia l'esame della proposta di delega richiesta dal Governo al Parlamento, il Consiglio europeo di una settimana fa si è pronunciato sulla nostra politica dell'occupazione, indicandoci autorevolmente la strada da seguire. Sembra quindi opportuno soffermarsi su queste indicazioni più che continuare a discutere dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

A quanti sostengono che le proposte del Governo in materia di mercato del lavoro sono troppo ardite o comunque inopportune conviene consigliare la lettura delle "raccomandazioni" rivolte all'Italia nel rapporto congiunto sull'occupazione approvato dal Consiglio europeo su proposta della Commissione. C'è davvero da vergognarsi. Il ridotto tasso di occupazione (53,5%) è ancora inferiore di circa 10 punti percentuali alla media comunitaria. In particolare il tasso occupazionale delle donne (39,6%) è il più basso dell'Unione. Quanto al tasso di disoccupazione, è sceso al 10,5% ma continua a superare di quasi due punti percentuali la media degli altri Paesi. Si potrebbe continuare di questo passo ma sarebbe inutile. Anche quest'anno usciamo con le ossa rotte dall'analisi delle autorità comunitarie che non può certo essere liquidata come un giudizio fazioso. Siamo parte di un'Europa sempre più integrata e questa valutazione impietosa è stata concordata dagli altri Governi e dalla Commissione.

Sempre a coloro che sono convinti dei pericoli per la democrazia suscitati dal Libro Bianco sul mercato del lavoro e dalla recente delega (compresa la sperimentale sospensione dell'articolo 18) appare opportuno consigliare di riflettere sulle richieste di Bruxelles nei nostri riguardi. Ci si richiede <la piena attuazione della riforma dei servizi pubblici per l'impiego in tutto il Paese>: bisogna davvero che il Governo e le Regioni trovino un'intesa forte e convinta per compiere un autentico miracolo, senza perdersi nei meandri di un federalismo amministrativo che potrebbe anche peggiorare la situazione. Non solo, ma veniamo ammoniti a <continuare a rendere più flessibile il mercato del lavoro>. Non si tratta della solita richiesta degli imprenditori: a spingerci nella direzione della adattabilità è l'Europa stessa, avendo già sperimentato altrove risultati interessanti.

Ma quest'anno l'Unione europea ha voluto andare al di là delle solite reprimende, pur assai imbarazzanti sul piano politico, come nel caso dell' Italia. Il Consiglio ha individuato alcuni indicatori per la qualità del lavoro ed ogni Stato membro dovrà tenerne conto nel riformare la propria legislazione sul mercato del lavoro. Si tratta di un decalogo che anche il nostro Parlamento (per non parlare delle parti sociali) dovrà avere a mente nell'esaminare la delega richiesta dal Governo. Un metro di giudizio che dovrebbe fugare le troppe polemiche frutto soltanto di un confronto politico non sempre di alto livello.

Il lavoro di qualità implica innanzitutto la transizione dallo stato di non occupazione a quello di occupazione. Potrà sembrare un'ovvietà, ma fintanto che non si riuscirà a far riemergere una parte significativa del lavoro clandestino, continueremo ad avere un mercato di pessima qualità. Avanti dunque con le proposte: si discutano pure opzioni alternative rispetto al Libro Bianco, senza però riproporre strumenti già rivelatisi fallimentari come i contratti di riallineamento. Anche in riferimento al secondo criterio (competenze, formazione permanente e sviluppo di carriera) occorre lanciare idee innovative ed anzitutto avere in mente un percorso che dal tirocinio e dall'apprendistato punti ad incoraggiare rapporti di lavoro stabili ma non ingessati, consolidati dopo una assunzione a termine. Educare in una prospettiva di carriera è forse uno dei modi più convincenti per costruire risorse umane ad alta qualificazione e motivazione.

Fra questi criteri di qualità troviamo anche il dialogo sociale ed il coinvolgimento dei lavoratori. Qualche imprenditore resterà deluso ma relazioni industriali di qualità implicano una rappresentanza collettiva matura e moderna dei lavoratori, capace di indirizzarne l' orientamento verso una logica partecipativa. A qualche sindacalista piacerà senz'altro meno il criterio della flessibilità e sicurezza nel rapporto di lavoro. Ma a ben vedere è davvero condivisibile accertare quanti lavoratori part-time ovvero assunti a termine abbiano fatto questa scelta volontariamente.
Anziché discutere animatamente per settimane di norme pensate per il mercato del lavoro di oltre trent'anni fa (e l'articolo 18 è solo un esempio) converrebbe dunque incentrare il dibattito sull'urgenza di una riforma ormai davvero indifferibile. Quanto proposto dal Governo sarà sufficiente? Forse sì, nel senso che è il minimo che si possa fare, dopo le prime aperture del "pacchetto Treu" del 1997 ed i successivi anni di completa inazione. In Europa siamo ormai quasi alla berlina: nessuno Stato membro è risultato così insensibile alle raccomandazioni di Bruxelles in materia di mercato del lavoro. Cerchiamo di avere uno scatto di orgoglio e di recuperare il tempo perduto.