Le caratteristiche del mercato del lavoro italiano sono ormai ben note ed escono comunque confermate dai dati comparati. Se si considera il 2000, non solo il tasso di disoccupazione (11%) è secondo soltanto a quello della Spagna (14,1%) tra i Paesi comunitari considerati, ma se si guarda al tasso di occupazione, siamo addirittura all'ultimo posto, con un misero 53,4%, dovuto soprattutto a uno scandalo nazionale qual è il nostro tasso di occupazione femminile inchiodato al 39,3 per cento.

É proprio quest'ultimo indicatore a svelare la drammaticità della situazione italiana: poco più di una persona su due, fra quelle attive, risulta occupata e poco più di un terzo delle lavoratrici sono effettivamente integrate nel mercato del lavoro. La differenza con gli altri Paesi è abissale.

Scarso ricorso al part time. Non è neppure una novità che una situazione così grave sia spiegabile anche sulla base di un insufficiente ricorso al lavoro a orario ridotto. Ancora una volta i dati parlano chiaro: in Italia siamo solo al 7,9%, superati dalla maggior parte dei Paesi comunitari. É evidente la correlazione virtuosa tra tasso di occupazione e ricorso al part-time, tipologia contrattuale che può risultare decisiva nell'imprimere una svolta alla dinamica occupazionale. L'Italia ha un disperato bisogno di rendere il lavoro a orario ridotto alla portata di giovani e donne. Occorre rimuovere gli intralci che ancora si frappongono a una piena valorizzazione di questa forma di attività lavorativa, capace anche di coniugare lavoro e famiglia.

Il lavoro irregolare. Il confronto comparato insomma svela in modo impietoso ciò che per anni si è sempre cercato di nascondere. Il nostro è un mercato del lavoro anomalo dove l'Istat stima un esercito di occupati irregolari che nel '99 già ammontava a quasi tre milioni e mezzo di persone. Un universo variegato che accomuna al suo interno tanto gli occupati in nero quanto i soggetti che non eseguono la propria attività in forma regolare. Fra l'altro non si deve dimenticare l'anomalia tutta nostrana delle collaborazioni coordinate e continuative che nel complesso superano i due milioni di persone. Un fenomeno assai inquietante, visto che accanto a soggetti organizzati sul piano di un'effettiva autoimprenditorialità convivono lavoratori subordinati camuffati da falsi prestatori in forma autonoma. La risposta del mercato del lavoro italiano alla disperata richiesta di flessibilità da parte delle imprese è stata proprio la crescita, tumultuosa e mostruosa al tempo stesso, di questa tipologia contrattuale che vive in un limbo giuridico e per questo legittima nei fatti una logica di precarietà e abusi.

La riforma in Parlamento. Dinanzi a questo scenario, è responsabilità di qualunque Governo adottare misure appropriate, anche a costo di impopolarità. La delega sul mercato del lavoro attualmente in discussione al Senato offre alcune risposte per rimuovere i "colli di bottiglia" che affliggono il mercato italiano del lavoro. In questo contesto il part-time assume un ruolo fondamentale. E' davvero tempo che datori e prestatori di lavoro interpretino con creatività questo innovativo rapporto di lavoro. Così dicasi anche per altre tipologie, come il "lavoro a chiamata", già sperimentate con successo proprio in Spagna e nei Paesi Bassi. Ma anche lo stesso riposizionamento delle collaborazioni coordinate e continuative, nell'ambito dell'area del lavoro autonomo a cui appartengono, è sintomo di un'opera di modernizzazione del mercato del lavoro che non può non passare attraverso una sua moralizzazione.
Si potrebbe osservare che, tra i tanti provvedimenti all'esame del Parlamento per delegare il Governo a intervenire sul mercato del lavoro, non c'era bisogno di creare uno psicodramma collettivo com'è la proposta di sospensione sperimentale dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori. In realtà tutti i Paesi hanno sperimentato di recente travagliati dibattiti quando sono intervenuti su questioni nevralgiche. Il caso spagnolo è forse il più emblematico al riguardo. Dal 1980 a oggi la disciplina sul licenziamento è stata riveduta ben quattro volte e la logica è sempre stata quella di alleggerire le conseguenze del recesso ingiustificato. Ancor più significativo è che il Governo e le parti sociali spagnole abbiano concordato sull'introduzione di un nuovo tipo di contratto a tempo indeterminato assistito da una forma più tenue di riparazione in caso di licenziamento ingiustificato. Se in Spagna si è addirittura raggiunta un'intesa, è mai possibile che in Italia non se ne possa neppure discutere? La vera questione di principio non è affatto l'art. 18, visto che non è in discussione la giusta causa di licenziamento, ma un mercato del lavoro ingiusto che lascia ancora oggi poche speranze a chi non abbia la fortuna di aver già trovato occupazione