Mercato del lavoro e collocamento: c'è ancora bisogno di un intervento pubblico per favorire l'incrocio fra domanda e offerta nel lavoro? Non sarebbe sufficiente regolare in qualche modo il ruolo dei privati, superando una cultura vincolistica che ha spesso creato soltanto disservizio, disorientando chi offre e chi cerca lavoro? Dopo anni di titubanze, fra qualche sperimentazione riuscita (il lavoro interinale) e molte delusioni (i servizi all'impiego decentrati), anche l'Italia deve decidere quale direzione imboccare.

Le indicazioni che provengono dall'Unione europea sono forse figlie di un'impostazione più scandinava che mediterranea, ma sembrano assai valide e condivisibili. I servizi pubblici all'impiego servono per contrastare la disoccupazione di lungo periodo e per sostenere l'integrazione occupazionale delle fasce di popolazione a rischio di esclusione sociale. Senza un adeguato intervento pubblico questi soggetti rischiano di essere allo sbando e quindi è a rischio la stessa coesione sociale. Essendo fra l'altro di difficile collocabilità sul mercato, essi non sono considerati appetibili dagli operatori privati.

Ben vengano, dunque, esperienze di sportelli ad alta professionalità ed efficienza per collocare extracomunitari, over 40 espulsi da processi di riorganizzazione aziendale, disabili, ecc. Il Patto di Milano è pienamente convincente sotto questo profilo. A condizione che collocamento e formazione vadano di pari passo, aiutando solo chi è davvero disponibile a trovare lavoro (nell'intero territorio nazionale) e superando le resistenze culturali alla mobilità geografica. Tutto questo va affidato, in ottica federalista e non più di semplice decentramento, alle Regioni. Lo Stato eserciti un potere di controllo e monitoraggio riservandosi interventi sostitutivi in caso di malfunzionamento e nulla più. Un vero federalismo (quello del nuovo articolo 117 della Costituzione che il prossimo referendum auspicabilmente confermerà) comporta scelte nette e precise.
Ai privati deve essere consentito di fare tutto il resto, con autorizzazioni rilasciate solo dalle Regioni. L'esperienza delle società di lavoro interinale deve essere compresa e valorizzata.

Pieno consenso quindi all'iniziativa del Governo di superare l'assurdo limite della "missione esclusiva". Occorrerebbe giungere a una sola procedura autorizzatoria per quanti vogliano fare impresa operando nel mercato dell'incontro fra domanda e offerta di lavoro. Qualunque sia la tipologia di rapporto di lavoro, o la natura dell'attività svolta, occorre prevedere un vaglio dell'autorità regionale limitato a escludere fenomeni di caporalato. Meglio un sistema regolarizzato che ammetta anche lo staff leasing (come nei Paesi di tradizione anglosassone) che le attuali furbizie delle fittizie cooperative di consulenti. É sul mercato di lavoro che lo Stato (e quindi questo Governo) deve innanzitutto dimostrare una concezione moderna dell'intervento pubblico. E, trattandosi in realtà di tanti mercati di lavoro, una scelta federalista forte appare una prospettiva obbligata. Tutti hanno un ruolo da recitare in proposito, anche i sindacati che, riscoprendo le proprie radici storiche, potrebbero riconquistare credibilità tra le nuove generazioni di disoccupati.